Il posto giusto

Marika 9 anni (Italia)

C’era una volta un unicorno allegro che girovagava per i paesi di montagna in cerca di compagnia e divertimento. Nel mondo da cui veniva, la gente non sapeva né ridere né ballare, figuriamoci cantare che era la sua più grande passione. Così appena poté, si allontanò senza dire nulla a nessuno, e sorvolando vette innevate e prati verdi, dopo un lungo viaggio atterrò in riva a un fiume. L’aria profumava di erba bagnata e il cielo era attraversato da delle strisce colorate che formavano un arco. 

L’unicorno allegro emise un lungo nitrito. Era la prima volta che assisteva a uno spettacolo simile. Dalle sue parti le nubi si sfidavano di continuo a colpi di pioggia e solo ogni tanto, se erano proprio di buon umore, permettevano al sole di fare un breve capolino. Lì, invece, non esistevano le nuvole e il cielo era di un azzurro così limpido che non l’aveva visto nemmeno in sogno. Gli venne voglia di correre dalla gioia e dall’impazienza di incontrare gli abitanti di quel posto meraviglioso. Loro sì che potevano capirlo e forse anche fare amicizia con lui.

L’unicorno allegro nitrì di nuovo e proprio quando stava per prendere la rincorsa, vide sull’altra sponda del fiume una fanciulla apparsa dal nulla. Era seduta su una grande pietra e contemplava il paesaggio. Accarezzati dal sole, i suoi capelli dorati e le ali di vetro, scintillavano riflettendo i colori del cielo. Non appena si accorse di lui, la giovane intonò una canzone dal ritmo così contagioso che lo fece subito scalpitare e ondeggiare. Persino la sua ombra si muoveva! 

Fu in quel momento che la voce dell’unicorno allegro si levò dal petto, insieme alle parole in una lingua sconosciuta. Aveva un suono dolce e al contempo potente il cui eco rimbombava ancora tra le montagne quando l’animale smise di ballare e fissò incredulo la fanciulla. «Non è possibile!» esclamò e le puntò contro uno zoccolo. «Che cosa mi hai fatto?» 

«Niente, caro. Hai fatto tutto tu.»

«Non ci credo! Come avrei potuto farlo?»

«Nella maniera più semplice e ordinaria: aprendo la bocca. Mi pare evidente.»

«Mica tanto!» sbuffò l’unicorno allegro saltellando sulle zampe posteriori. Amava il canto, ma da lì ad avere conoscenze di una lingua mai udita prima, ce ne passava. Nel frattempo la fanciulla aveva ricominciato a cantare e si era alzata in volo: vicina eppure distante, come se venisse da un luogo lontano e impossibile da raggiungere. Quella voce, quella melodia, l’unicorno allegro era come ipnotizzato e non riusciva a calmare la sua voglia di zompettare sempre più rapido.

«Ma tu chi sei?»

«Non mi riconosci?» canticchiò la fanciulla sbattendo le mani un paio di volte. La musica cessò ed entrambi si trovarono a terra. Annaspando, l’unicorno allegro negò con la testa. Gli sembrava impossibile aver dimenticato una creatura simile. Nel suo mondo moncolore una così non sarebbe passata inosservata e non perché avesse le ali e cantasse come un angelo, bensì per il vestito che rispecchiava i colori dell’arco celeste. Era una perla rara, come lui d’altronde. Un maschietto vispo e per giunta rosa. Proprio una bella coppia!

«Ci siamo conosciuti tempo fa, quando eri ancora un cucciolo. Ne hai fatto di strada, Elander. Bentornato a casa. Ti stavo aspettando. Avrai di certo sentito il mio richiamo.»

All’udire quel nome, l’unicorno allegro spalancò la bocca e i suoi occhi luccicarono. Stava per dire qualcosa, ma il corno vibrò e si staccò dalla testa, rotolando a lungo prima di cadere nel fiume con uno splash. Lo seguì con lo sguardo finché non fu portato via dalla corrente. 

«E adesso?» s’allarmò l’unicorno allegro. «Fallo ritornare! Senza di lui non sono nessuno» piagnucolò. 

La fanciulla sorrise.

«Non è l’aspetto esteriore a renderti speciale, mio caro, ma quello che porti dentro.»

L’unicorno allegro nitrì. 

«Cioè?»

«La tua voglia di vivere senza cercare di somigliare agli altri. Sei unico e sai di esserlo, anche se l’hai dimenticato.»

Davanti agli occhi dell’unicorno allegro sfrecciarono le immagini del villaggio in cui era cresciuto, circondato dagli umani vestiti di nero, che camminavano sempre a capo chino e mormoravano parole incomprensibili che si trasformavano spesso in pianto. Quante volte si era sentito diverso per il colore della propria pelle? Quante volte quelle persone, appena aggiustava la voce per animarli in un momento brutto, gli urlavano di smettere tappandosi le orecchie?

«E tu come lo sai?» chiese alla fanciulla.

«Sono io che ti ho creato, caro. Sapevo che saresti tornato un giorno per regalare ai più piccoli e indifesi la tua allegria e il tuo canto libero.»

Non appena pronunciò quelle parole, sulla riva si riversò un gruppo di bambini chiassosi con in mano un blocco di disegno e un mazzo di matite colorate. Tutti insieme si buttarono per terra e cantando aprirono una nuova pagina della storia del mondo. All’alba, mentre il sonno chiudeva i loro occhi, l’unicorno allegro capì di essere al posto giusto e che d’ora in avanti sarebbe andato tutto bene.

Pubblicato da Emy Ristovic

Serbian expat living in Italy. Writer. Journalist. Storyteller and founder of @piccoligrandisognatori.

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