
C’erano una volta due staterelli in guerra tra loro. Nessuno ne ricordava più il vero motivo: era sempre stato così.
Gli abitanti di Paesediqui detestavano gli abitanti di Paesedilà: “incivili, guerrafondai, buzzurri violenti”.
I cittadini di Paesedilà disprezzavano i cittadini di Paesediqui: “selvaggi, attaccabrighe, zotici facinorosi”.
Non solo i militari, ma tutti, qualunque fosse il loro mestiere, lavoravano per la guerra, chi costruendo armi, chi preparando il cibo per i soldati, chi curando i feriti. Case e strade erano pensate per la guerra: alti edifici rettangolari dalle mura invalicabili, strade strette e buie per rallentare il nemico. A scuola s’imparavano tecniche militari e battaglie famose.
Insomma, tutti a Paesediqui e Paesedilà vivevano così e se ne accontentavano. Tutti? No. In mezzo al bosco che separava i due stati, viveva una famiglia che odiava la guerra. Il padre, Quirino, era un abile pasticciere, la madre, Laila, un’inventrice geniale e il loro unico figlio, Pacioso, un bambino sorridente che amava le fiabe, l’astronomia e la cioccolata. Per crescerlo felice e giocoso, Quirino e Laila non lo avevano mai mandato a scuola né di Qui né di Là e gli avevano insegnato tutto ciò che sapevano. Avrebbero voluto che imparasse anche cose che loro non conoscevano, ma per questo avrebbero dovuto vivere in una regione senza guerre, in cui le scuole insegnassero tante materie diverse e interessanti, non solo i modelli di cannone e i nomi di generali e colonnelli del passato. Però amavano il posto in cui vivevano e non volevano andarsene, volevano solo la pace.
Sapevano che le cose non sarebbero cambiate da sé, toccava a loro farle cambiare. Per questo, fin da quando Pacioso era piccolissimo, studiavano come riuscirci. Avevano capito che per far arrivare a tutti gli abitanti di Qui e di Là un messaggio e un invito alla pace, essendo solo in tre — per di più mal visti perché contrari alla guerra — non avrebbero mai potuto farlo entrando casa per casa. Meglio passare dal cielo per mandare un messaggio a tutti nello stesso momento. Dopo anni e anni di lavoro, Laila aveva progettato e costruito un magnifico elicottero. Tutto fatto solo di materiali trovati nel bosco.
Il mezzo era pronto, mancava il messaggio.
«Cosa scriviamo?»
«Quanto tempo ci vorrà per preparare tutti quei foglietti?»
Mentre i genitori riflettevano, Pacioso faceva merenda. Fu vedendolo rimpinzarsi felice che Quirino esclamò: «Ma certo: nessuno ha voglia di fare la guerra mentre mangia un dolce delizioso!»
Fu così che tutti e tre passarono una notte e un giorno interi a preparare torte, bignè, pasticcini e bomboloni. Una volta caricato il tutto sull’elicottero, decollarono zitti zitti, ben attenti a schivare tutti gli aerei, dirigibili e altri velivoli da guerra di cui era zeppo il cielo. Giunti sopra al cuore della battaglia, dove il grosso dell’esercito di Qui tentava di sfondare le resistenze della fortezza di Là, sganciarono il carico.
In basso fu il panico: a vedersi piovere addosso ordigni sconosciuti, tutti presero a correre spaventati. Ma quando la prima torta toccò terra dolcemente e non esplose, un soldatodiqui più temerario degli altri s’avvicinò.
«Che buon profumo» esclamò e, quasi senza averlo deciso, vi tuffò un dito e assaggiò: gnam! Ne mangiò un pezzetto, poi un altro e un altro ancora. Un soldatodilà accorse: che combinava il nemico? Intinse un dito anche lui e assaggiò cauto. Delizioso!
Tentando di mantener un contegno, ne assaggiò un altro po’, ma era così buona che presto si ritrovò seduto per terra a ingozzarsi felicemente. Alzò la testa per sorvegliare il nemico e vedendolo con la faccia sporca di cioccolata, scoppiò a ridere. L’altro, scorgendolo a sua volta impiastricciato, rise più forte. Tutt’intorno, i loro compagni avevano iniziato ad assaggiare le cose piovute dal cielo e ora s’abbuffavano felici, senza più distinzioni tra divise di Qui e di Là.
«Per cosa stavamo facendo la guerra, già?» chiese uno con la bocca piena.
«Non so, ma non doveva essere importante. Hai assaggiato uno di questi?» rispose un altro ingoiando un bignè allo zabaione.
Bisogna sapere che non avevano mai assaggiato dolci, prima: la loro alimentazione era sempre stata pensata per mantenerli smilzi, tonici e nervosi. In vita loro, non avevano mai provato un tale piacere di mangiare.
Dopo i soldati, anche generali e colonnelli avevano lasciato le armi per mettersi ad assaggiare; anche i semplici cittadini, attirati dai rumori di risate, erano usciti dalle case e ora tutti s’ingozzavano gioiosi.
Dall’elicottero, i nostri eroi osservavano soddisfatti: sapevano che ci sarebbe stato ancora tanto da lavorare per insegnare a tutti come vivere in pace, ma sapevano anche che il più era fatto. Nessuno dei presenti avrebbe mai più combattuto il vicino con cui aveva spartito cannoli, bignè e risate.
«Rientriamo?» chiese Laila
«Sì» rispose Quirino.
«Ho fame, c’è rimasto un po’ di torta a casa?» aggiunse Pacioso e tutti pensarono che fosse un’ottima frase finale.
Marezia Ori-Elie
Grazie per la grande fantasia a daniel è piaciuta molto !
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Grazie a lui! Sono molto felice che gli sia piaciuta, volevo inventare una storia fantasiosa per un disegno pieno di fantasia.
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Complimenti Marezia Ori-Elie!Un testo frizzante e una tematica nobile…da buon auspicio per un pace interiore e esteriore!
Grazie!
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