
C’era una volta, nascosto tra la fitta vegetazione come un gioiello prezioso, un castello caduto in rovina da tempo. Nessuno ricordava più della sua esistenza e la gente ne sarebbe rimasta ancora all’oscuro se un giorno non fosse accaduto un fatto insolito.
Il primo ad accorgersene fu un gatto randagio dal pelo rizzato e nero che si aggirava per il bosco in cerca di cibo. Era nei pressi del castello e annusava il terreno come un vero segugio, cercando le tracce di un ratto sfuggito alla sua zampa, quando l’occhio gli cadde su un fiore dai petali colorati che lo salutò con una vocina stridula:
«Salve, amico! Buona primavera!»
Spaventato, il gatto schizzò via come un razzo e trovò rifugio in un cespuglio. Mentre si chiedeva se fosse stata una sua allucinazione, oltre alla terra battuta e ai rovi spigolosi non aveva mai visto piante in fioritura, sentì il rumore dei passi e alzò il capo per vedere il nuovo arrivato. Una volpe. Si guardava intorno con circospezione e di tanto in tanto si fermava a fiutare l’aria. Sollevato, il gatto sospirò e si fece avanti.
«Ah! Sei tu, Volpino.»
«Chi credevi che fossi, un fantasma?» rispose la volpe e si mise a sedere.
«Più o meno» disse il gatto. «Temevo fossi quell’orribile fiore parlante» aggiunse e pentito della rivelazione si mordicchiò subito la lingua. Gli mancava solo che si raccontasse in giro che fosse matto!
«Allora l’hai visto anche tu!» esclamò Volpino. «Pensavo fossero i postumi del pranzo. Oggi ho provato una nuova varietà di uva, ma aveva un gusto amaro, così ho pensato che fosse marcia.»
«E io che fosse frutto della mia mente stanca e del corpo spossato a digiuno da giorni.»
«Dunque, avete incontrato anche voi quel fiore giallo a spasso per il bosco!» canticchiò un pettirosso sbucando dalla folta chioma di un albero vicino e dopo aver sorvolato le teste della volpe e del gatto, atterrò sulla schiena di quest’ultimo.
«Rosetta, quante volte ti ho detto di non fare improvvisate del genere? Un giorno mi farai morire!» esclamò il felino sbuffando.
«Sei il solito esagerato!» replicò il pettirosso. «Allora, l’avete visto o no? Voglio sapere tutto! Non succede mai nulla qui.»
«Non posso negare» disse Volpino. «Era alto circa due metri, aveva due occhi grandi e le sopracciglia lunghe, ma non era giallo bensì arancione.»
«Per me era molto più alto. Non sono proprio sicuro che avesse occhi, però posso dire con certezza che era viola» spiegò il gatto e poi ratificò: «Anzi no, era anche rosa e azzurro, eppure giallo.»
Rosetta si alzò in volo sbattendo le ali.
«Non siete capaci di distinguere un arancione da un giallo e qui di azzurro c’è solo il cielo. Ma perché perdo il tempo con voi?» s’indignò e sparì ancor prima che potessero rispondere.
Abbattuti e senza nemmeno salutarsi, il gatto e la volpe andarono ognuno per la propria strada evitando gli incontri per paura di fare un’altra brutta figura. Intanto, mentre loro rimuginavano sulle risposte sbagliate, anche il gufo fece conoscenza del fiore parlante. Questa volta l’esemplare era di due diverse tonalità del rosa e non solo apriva la bocca, ma fece pure un inchino.
«Salve, amico!» gridò con entusiasmo. «Buona primavera!»
Sorpreso, il gufo inclinò la testa da un lato e spalancò gli occhi. Non ricordava l’ultima volta in cui aveva sentito quella dolce parola: primavera. Da quando la famiglia reale era caduta in disgrazia, per colpa di un incantesimo malvagio, il tempo da quelle parti si era fermato e nonostante le piante avessero continuato a crescere e gli animali a popolare il bosco, nessuno ricordava più che aspetto avessero i fiori.
«Buongiorno a te!» rispose il gufo. «Allora esisti davvero!»
Il fiore tremò dalla felicità. Finalmente qualcuno si accorgeva di lui e lo salutava di rimando. Era stufo di facce impaurite e di fughe improvvise che non lasciavano spazio a spiegazioni. Dal giorno in cui lui e i suoi fratelli si erano risvegliati da un lungo letargo, era impaziente di far sapere a tutti che la voglia di vivere avrebbe presto ricominciato a fluire nelle vene.
«Certo che esisto! Non senti il mio profumo?» si vantò il fiore muovendo la testolina con i petali rosa.
Il gufo annuì e tremò a sua volta dal piacere di aver riconosciuto quell’aroma famigliare che il vento diffuse presto ovunque. La prima a seguirne la scia fu Rosetta, che si prodigò subito in un canto così allegro che richiamò non solo gli abitanti del bosco — persino il gatto e la volpe risposero all’appello —, ma anche una bambina dai cappelli rossicci in cui volto lentigginoso riconobbero Gioia, la principessa del castello disabitato.
«Bentornata, maestà!» gridarono all’unisono e si strinsero tutti intorno a lei in un abbraccio caloroso.
Da allora nel bosco crescono sempre i fiori variopinti e basta chiudere gli occhi per udire l’eco di un lontano quanto gioioso buona primavera, amico.
Complimenti! Molto solare!
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