
La notte avvolgeva nel suo mantello nero una casetta dai mattoni rossi, con il tetto a punta e la porta gialla che si aprì lentamente per far passare un bambino. Gli occhiali gli premevano sul nasino, illuminato appena dalla luce fioca della lanterna pendente sopra la testa riccia. Prima di muoversi, stringendo al petto un grosso volume, il piccolo gettò uno sguardo al cielo stellato e alla luna che gli sorrise facendo un occhiolino.
Chi cerca tesoro, lo trova. La voce dell’astro più luminoso era chiara e sembrava accarezzargli una guancia mentre s’incamminava lungo la strada acciottolata che portava al bosco dove, secondo il libro, avrebbe realizzato il suo sogno. S’affrettò e non tanto dalla voglia di arrivare al più presto alla meta, tratteggiata con una grossa x al centro del foglio ingiallito, quanto dal freddo che s’insinuava tra le ossa del collo. Era uscito di casa in fretta e la sciarpa azzurra era rimasta appesa al gancio dell’appendiabiti. Almeno aveva avuto la prudenza di infilarsi i guanti, altrimenti a quell’ora gli si sarebbero congelate tutte le dita.
Una volta dentro il bosco il bambino s’incupì presto. Il buio rendeva difficoltosi i suoi passi, per non parlare della paura che si divertiva a fargli brutti scherzi. Qualcosa di pungente gli sfiorò le orecchie. I rami, suppose. Anche se non riusciva a vederli, li immaginava come due braccia enormi che si stringevano attorno al suo corpo magro e lo sollevavano da terra. Al solo pensiero gli tremò il mento. Alzò la testa al cielo, implorante aiuto, ma la luna era scomparsa dietro i nuvoloni scuri che sputavano bagliori. Stava per mettersi a piangere, quando sentì un fruscio. Qualcuno si aggirava alle sue spalle, probabilmente una volpe affamata che lo avrebbe mangiato in un boccone. Si mise a correre.
«Tutta questa fatica per niente!» piagnucolò sconsolato girando la testolina in direzione del rumore. Voleva solo trovare il tesoro! Non pensava che sarebbe finito tra le fauci di un animale feroce. Una volpe o un orso, poco importava. Sarebbe stato in ogni caso un lauto banchetto.
I passi erano sempre più vicini. Poteva dire addio alla sua giovane vita. Deluso, si fermò, gettò il libro al suolo e cominciò a calpestarlo con rabbia. Era tutta colpa sua. Gli avevano detto che gli esseri alati, dotati di poteri magici, non esistevano. Eppure, testardo com’era, aveva voluto crederci a tutti i costi e si era messo persino sulle loro tracce, seguendo una stupida mappa.
«Gli unicorni non esistono!» gridò. «Non esistono, n-o-n-e-s-i-s-t-o-n-o!»
Si sentiva così bene, dopo lo sfogo. Ora, però, con tutto quel buio e a patto che riuscisse a evitare i pericoli, sarebbe stato complicato tornare indietro indenne. Mentre cercava una soluzione, il libro s’aprì e dalle pagine uscì, seguito da una scia di luce, un unicorno rosa con delle ali azzurre. Il bambino spalancò gli occhi e la bocca. Erano ancora in silenzio quando la carta s’illuminò di nuovo e le pagine presero a girare con frenesia, una dietro l’altra, sprigionando un’unicorna. Anche lei era rosa e le sue ali erano dello stesso colore del cielo nelle giornate di sole.
«Cosa sentono le mie orecchie fini?» domandò facendo brillare il corno nei colori dell’arcobaleno. «Guai a te se dici un’altra volta una bugia simile!»
«Ma, io, non, non lo volevo! L’oscurità…» balbettò il piccolo.
«Tutte scuse e nemmeno buone. Cos’è successo alla tua fede? Una volta eri diverso! Vero?» si rivolse all’unicorno.
«È diverso ancora, cara, altrimenti non saremmo qui.»
Passato lo stupore iniziale e appurato il fatto che non erano frutto della sua immaginazione, il bambino si strofinò le mani e cominciò a bombardare la coppia con delle parole a raffica. Voleva sapere tutto: chi erano, come erano arrivati nel libro e a casa sua, perché proprio lì aveva trovato quel volume grosso e ragnateloso, qual era il tesoro della mappa segreta e se potevano capire, dato che venivano da un altro mondo, la sua lingua.
«Piano con le domande, Martino! Abbiamo una certa età, mica possediamo la tua energia!» esclamò la femmina senza battere ciglio.
«Conosci il mio nome?» chiese il bambino esterrefatto.
«Sappiamo tutto di te!» rispose il compagno.
«Non vedevamo l’ora che ci liberassi dall’incantesimo. Ci hai messo troppo tempo!» lo rimproverò l’unicorna.
«Importante è che l’abbia fatto!»
Martino sentì il mento tremargli di nuovo, ma questa volta dall’emozione. Anche se non capiva di cosa stessero parlando, gli fu subito chiaro che il suo gesto rabbioso aveva portato a qualcosa di buono. Si sentì crescere dall’orgoglio e dalla felicità. Rimaneva solo un’altra questione da risolvere.
«Scusate, ma adesso come faccio a trovare la strada? Avete da prestarmi una lanterna?»
«Abbiamo di meglio, figliolo» disse l’unicorno e spalancò le ali che si illuminarono a giorno. «Salta su! Facciamo in un attimo!»
Alzatasi in volo, la coppia di unicorni accompagnò Martino a casa, dopodiché si diresse oltre il cielo nuvoloso in cerca di nuovi orizzonti e altri bambini da salvare.
una bella favola che finisce bene.
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