
C’era una volta, appollaiata ai pendii di un monte alto e scuro, la Foresta Nera, il luogo più temuto sulla faccia della Terra. La evitavano tutti: i cocchieri cambiavano abilmente la rotta pur di non trovarsi nelle sue vicinanze, i cavalieri coraggiosi si appostavano sulle strade e a debita distanza per correre in aiuto delle fanciulle indifese quando le loro carrozze finivano nel mirino dei malviventi, gli animali erano da tempo emigrati verso l’Est, trovando rifugio nei pressi delle città.
Secondo un’antica legenda, tramandata di generazione in generazione, nelle viscere della Foresta Nera viveva il Gran Olmo, un ometto basso e paffuto dotato di poteri straordinari che gli avevano valso il titolo del Maestro d’Arte Malefica. Infatti la voce delle sue malvagità aveva raggiunto ogni angolo del mondo, Antico e Nuovo, ed era così forte e reale che bastava una semplice menzione del suo nome per sentire un’ondata di freddo lungo la schiena. La paura era così insita nell’Uomo da tenerlo lontano dai percorsi pericolosi anche quando dal viaggio dipendeva la sua sopravvivenza.
Il mago che tutti temevano aveva un aspetto singolare, ben diverso da quello albergato nell’immaginario comune. Non era affatto basso, ma non si poteva nemmeno dire che fosse un Adone; i chili in eccesso erano spariti solo grazie a una dieta sana abbinata all’esercizio fisico mattutino. Da qualche tempo si svegliava di buon umore e invece di scandire incantesimi e improperi in tutte le lingue terrestri, la sua bocca sputava note di una melodia così allegra e contagiosa da far tremare le mura della sua casetta blu. Era da tanto che non stava così bene con sé stesso da sostituire gli abiti scuri, più adatti a un Maestro d’Arte Malefica, con una tunica rossa che metteva in risalto la sua ritrovata focosità.
Gli Umani non lo potevano sapere, tenendosi sempre alla larga della Foresta Nera, però qualcosa era cambiato nell’animo scuro del Gran Olmo. Un giorno la sua vita aveva subito un giro inaspettato di 365°. Tutto era iniziato quando aveva aperto la finestra al risveglio e i suoi occhi erano saltati fuori dalle orbite alla vista del sole verde. Com’è possibile?, si era domandato grattandosi il mento con le lunghe unghie nere, consapevole che non poteva essere un’opera sua. Lui era il Maestro dell’Arte Malefica e se voleva incantare il cielo come minimo lo avrebbe dipinto di nero. Non sarebbe stata la prima volta che avrebbe preso la palla gialla in ostaggio. Se detestava qualcosa questa era la luce. Non per niente il suo regno era la Foresta Nera. Tutto intorno a lui doveva essere scuro, non poteva filtrare nemmeno un piccolo raggio tra le fronde.
Quella mattina però il sole non solo splendeva come un diamante incastrato in un anello, ma era di un verde così chiaro che gli alberi sembravano di colpo lucidati a nuovo e l’erba era così rigogliosa da non cercare nemmeno di nascondere i fiori spuntati ovunque in gran numero. Il Gran Olmo imprecò a voce alta mentre correva fuori, guardandosi intorno con l’aria smarrita. Stette per lanciare uno dei suoi incantesimi preferiti, che trasformavano giorno in notte, quando girando la testa a sinistra la vide in tutta la sua grandezza e imponenza.
Un drago, almeno questo fu il pensiero del Maestro d’Arte Malefica prima che l’essere alato aprisse la bocca e al posto del fuoco lanciasse le più belle parole che avesse mai udito. Aveva una voce così dolce che il mago si sciolse all’istante scoprendo un lato di sé del tutto nuovo e inatteso, che al contempo lo impietrì e spaventò. Non era da lui rimanere in silenzio a lungo e imbambolato come davanti a una visione eterea. Quella era una roba da umani, non doveva né poteva succedere a un’anima nera come la sua.
L’animale intanto accorciava la distanza e a ogni passo muoveva le ali facendogli ombra. Il Gran Olmo indietreggiò, ma più era intento a scappare, più lei era vicina. Si chiamava Gilda, disse, ed era una principessa intrappolata nel corpo del drago. Un uomo malvagio, spiegò sputando per la prima volta le fiamme, l’aveva ingannata e trasformata in un animale feroce che metteva paura alla gente. Non esisteva il modo di tornare alle sembianze umane, se non per bocca dell’Uomo Nero, così era partita un giorno all’alba per cercarlo e rovinargli la vita come lui aveva rovinato la sua.
Appena udita quella storia, il Maestro d’Arte Malefica abbassò la testa e le gambe gli tremarono come fossero sospinte da un vento forte che raggelava il sangue nelle vene. Gli bastò chiudere gli occhi per rivedere il viso angelico della principessa e il sorriso che gli aveva regalato il giorno in cui si erano conosciuti secoli prima. Poteva passare del tempo, e l’Antico e il Nuovo mondo scontrarsi in altre guerre sanguinarie causate per mano malvagia sua, ma il sentimento che quella donna, anche sotto le mentite spoglie di un drago, svegliava ancora in lui non sarebbe mai cessato di esistere e far battere all’impazzata il suo cuore. Era giovane allora, si scusò, e pensava solo al potere. Non voleva farle del male. Era l’unico modo che conosceva per trasmettere l’amore: rendendo l’anima di Gilda eterna, l’aveva unita a sé per sempre.
Bisticciarono per un po’. Gilda non era così stupida da abbassare la guardia, tantomeno da accettare subito le scuse del Gran Olmo. Dopotutto secoli prima le aveva spezzato il cuore e come minimo meritava una bella lezione: un piccolo terremoto, qualche incendio qua e là nella foresta, giusto per ripicca. Il Maestro d’Arte Malefica non si scompose, ma non protestò nemmeno. Quell’affronto era un equo prezzo da pagare per gli errori commessi in gioventù.
Un giorno fecero la pace e si amarono per una settimana intera. L’incantesimo che avrebbe potuto restituire a Gilda i suoi abiti principeschi rimase sepolto nella memoria del mago che raggiunta una certa età stava ormai perdendo i colpi. Nessuno dei due se ne curò. In un’amore così grande come loro l’aspetto non contava nulla. All’arrivo dei loro cuccioli, due draghi piccini piccini e così vivaci che le mura della casetta blu ressero a malapena, fecero una grande festa annunciando a tutto il mondo la loro felicità.
Da allora la Foresta Nera fa meno paura, ma c’è ancora oggi chi la considera il posto più pericoloso della Terra. Per scoprire la verità non vi resta che mettervi in cammino. Il Gran Olmo e Gilda vi aspettano a braccia aperte.