
Tutti sappiamo che quando siamo nei boschi per fare un’escursione o per passeggiare, può capitare di imbattersi in impronte di animali selvatici passati di lì per caso alla ricerca di cibo.
Allora, lo stupore ci porta a scommettere quale animale sia e al vincitore va il pezzo di merenda più grosso, di diritto.
Ciò che nessuno sa, tuttavia, è che mentre noi chiacchieriamo e scommettiamo le lunghe fronde degli alberi ascoltano e bisbigliano tra loro intrecciando le radici nel terreno: foglie e piante possono così discorrere e sorridere mentre gli alberi più anziani, di grande saggezza, si scambiano antiche storie, nel buio spolverato di stelle.
La più antica e più affascinante di tutte riguarda una foresta nascosta nelle fredde terre nordiche dove il sole arrivava di rado e per sopravvivere, gli alberi hanno piegato i propri tronchi in tante forme arcuate riproducendo dei buffi troni di legno sui quali gli animali si divertivano ad arrampicarsi, facendo quindi il solletico ai solidi tronchi. C’era una verità che riguardava quel luogo, che nessuno osava svelare ad alta voce né in un sussurro, e veniva tramandata di foglia in foglia, di animale in animale con un semplice sguardo: nel folto di quella foresta, i desideri di chi è abbastanza coraggioso da esprimerli, curarli, intesservi e infondervi amore, prendono corpo e trovano la via per la realizzazione.
Quella sera, gli alberi della foresta Mercadante si raccolsero tra le ombre di un falò poco lontano e narrarono alle foglie più giovani la storia dei signori Fiorito.
Il signore e la signora Fiorito erano stati i soli, a memoria d’albero ad avere un desiderio così grande da esprimere da arrischiarsi a contravvenire al veto imposto a tutti gli uomini: non arrivare mai alla Foresta dei Desideri.
Margherita e Filippo Fiorito erano legati da anni, si amavano teneramente, di un sentimento che traspariva da ogni loro gesto. Curavano la loro piccola casa dalle pareti colorate, il giardino e tutti gli animali che vi vivevano con l’attenzione che si riserva ai primi boccioli primaverili e con la passione con cui si ammirano le foglie vermiglie sui terreni in autunno.
il bambino che desideravano, per ricoprirlo di tutte le sfumature d’amore che avevano imparato a conoscere, restava un sogno che, per quanto ci provassero, tardava ad arrivare.
Per la prima volta, Margherita e Filippo avvertirono il gelo dell’inverno avvolgerli, far morire i fiori del giardino, rischiando di allontanarli.
Un mattino gli animali del giardino, preoccupati dello sforzo di Margherita di far crescere fiori che avvizzivano, trovandola addormentata nell’erba rinsecchita, le si fecero vicini e inviarono la leggiadra farfalla a sussurrare al suo orecchio:
«Se davvero desideri un figlio, devi essere coraggiosa e rivolgere il tuo desiderio a Nord, perché il vento freddo lo porterà alla Foresta dei Desideri, ed entro l’anno avrai ciò che vuoi. Quella foresta esaudisce ciò che è nel tuo cuore.»
Al risveglio, a Margherita sembrò che le sue belle piante si fossero chinate su di lei per abbracciarla. Chiamò Filippo e stringendogli la mano gli raccontò lo strano sogno che aveva fatto. Lo convinse a partire per la foresta del Nord. Per quanto lui non amasse viaggiare, aveva visto gli occhi di Margherita illuminarsi come stelle nel parlare di quella foresta lontana, dai tronchi obliqui. Le sue mani erano così morbide, come quando l’aveva conosciuta, e questo gli bastò ad acconsentire.
La farfalla guardò la lumaca, le mantidi e le piccole rane non poco preoccupata: la Foresta dei desideri non era certo un posto per uomini, Margherita e Filippo si sarebbero certamente persi. Così decise di anticipare i suoi coraggiosi compagni umani arrivando prima di loro alla foresta per far avere agli alberi il loro desiderio.
Aveva chiesto informazioni a piante sconosciute su terreni a lei ignoti e sapeva che lo faceva per Margherita e Filippo, ma di tanto in tanto la farfalla si rammaricava del fatto che nella loro cieca necessità di avere un bambino avevano dimenticato che già avevano una famiglia nel piccolo popolo del giardino.
Le notti si susseguivano ai giorni e la piccola farfalla iniziava a sentirsi stanca e il freddo rischiò di mandarla a sbattere su un albero che parve comparire quasi dal nulla, seminascosto dal buio.
Il muso nero di un tasso sbucò in quel momento dalla terra e ne attutì la caduta accidentale. Dopo essersi riposata tra le sue zampe irsute, raccontò che Margherita e Filippo erano in arrivo.
«Umani? Qui? È sempre stato impossibile! Ma se il loro desiderio è tanto forte credo che sarebbe meglio che noi andassimo ad accoglierli, o i desideri di nessuno si avvereranno più.» Al suo tono saggio e baritonale rispose un verso lamentoso.
«Mi avete svegliato!» Un riccio dal musetto assonnato era emerso dalla sua tana.
Il tasso gli spiegò la situazione e quello si adoperò per scavare una galleria abbastanza larga perché potessero passarci tutti e tre e abbastanza lunga perché potessero raggiungere Filippo e Margherita impedendogli di entrare nella foresta.
Li raggiunsero in meno di una notte e l’ispida corazza del riccio si irrigidì per la paura anche se nel trovare Filippo e Margherita, addormentati l’uno nelle braccia dell’altra, gli si addolcì il cuore.
Il tasso e il riccio si avvicinarono cauti, notando che Margherita aveva pianto, forse perché i suoi occhi non riuscivano a vedere la foresta. Poggiarono insieme le zampe sul grembo di lei, per guarirlo ed esaudire il suo desiderio. La farfalla nel frattempo, stanca come non mai, trovò riparo tra le mani calde di Margherita.
Al risveglio il sole rivelò alla farfalla che sarebbero tornati a casa più velocemente ora, e che il bambino che sarebbe nato di lì a poco avrebbe avuto tratti della saggezza del tasso così come della scaltrezza del riccio, che si erano addormentati perché lui potesse sorridere alla vita.
Martina Conti