
C’era una volta, un bambino curioso e con le idee molto chiare sul futuro. Enzo aveva sei anni ed era già in grado di rispondere alle solite domande degli adulti: «Cosa vorresti fare da grande?»
Il ragazzino, con una vocina squillante, rispondeva sillabando: «Il vul – ca – no – lo – go!»
Tutti coloro che lo conoscevano vedevano in lui tutte le caratteristiche, fisiche e caratteriali, che un vero vulcanologo dovrebbe possedere: aveva i capelli ricci, neri e morbidi come la seta, occhi grandi e vivaci, un naso a patata, delle mani grandi e a forma di pagnottine fumanti e delle gambe lunghe e cicciotte spesso in movimento e pronte a esplorare.
Sin da piccolo, era stato un bel tipetto, autonomo e indipendente. Stabiliva cosa indossare e gli piaceva molto tutto ciò che era colorato e particolare: pantaloni a scacchi, color jeans, scozzesi e di lino e maglie con stampe che rappresentavano il mondo della natura.
Spesso seguiva, insieme al papà e alla mamma, documentari in tv; ammirava ogni genere di vita animale e adorava ascoltare le caratteristiche dei fenomeni naturali come la nascita dei vulcani, i terremoti, i maremoti e tanto altro.
Giocava spesso con il vicino di casa Arturo, non avendo né una sorellina e né un fratellino. Si divertivano all’aria aperta e fantasticavano, indossando gli occhiali della creatività.
Un giorno di Luglio fu memorabile e, i due amici, lo ricordarono per tutta la vita.
Enzo si svegliò molto presto e, insieme alla mamma Elide, raggiunse la casa di Arturo. Appena arrivò, grandi e piccoli, affondarono le mani nella farina per impastare tanti buonissimi dolci e organizzare un’ottima colazione.
Dopo aver gustato tante prelibatezze e un succo alla pesca, fatto il giorno prima da Elide, i due ragazzini corsero in giardino a giocare. Dato che Arturo da grande voleva diventare un geologo per essere un fido collaboratore di Enzo, decisero di intrattenersi facendo finta di trascorrere una giornata di lavoro, imitando ognuno i propri mestieri.
Prima di iniziare a divertirsi, sgattaiolarono senza farsi vedere e sentire, in modo da evitare divieti, nella cantina di Aldo, il papà di Arturo. Era un luogo fresco, poco illuminato e molto affascinante. C’erano un’infinità di arnesi perché Aldo era un valente falegname.
Enzo e Arturo si misero alla ricerca degli aggeggi del mestiere necessari per interpretarli. Ne presero tantissimi: un oggetto circolare rappresentava un sismografo, indispensabile per rilevare i piccoli movimenti del globo terrestre, un altro, simile a un righello, era un inclinometro per misurare le variazioni di pendenza del terreno, un affare in plastica simile a una pistola era il pirometro, per misurare la temperatura della lava.
Mentre rovistavano tra scaffali, cassetti e scatole alla ricerca di altri oggetti che potessero essere adatti per lo studio delle rocce sgranarono, all’unisono, i loro occhioni. Enzo, esplose: «Arturo, cos’è questo tubo?» e lui ridendo rispose: «Non ne ho idea! Guarda, se accosti un occhio alla lente e lo ruoti si vedono tante figure variopinte» ed Enzo riprese: «È vero! Si vedono anche sottosopra, cambiano forma e i colori sono proprio quelli della lava di un vulcano in eruzione».
Misero anche quel cimelio spettacolare dentro un baule di legno intrecciato e, insieme, trasportarono fuori il bottino.
Si divertirono tantissimo e la loro euforia era udibile a chilometri di distanza. I due bambini si misero sotto ad un gran albero di fico per scavare e fare misurazioni, mentre le loro mamme erano in veranda a godersi un leggero venticello.
Si misero ad analizzare il terreno e confrontarono i dati emersi per ore. Il loro strumento preferito era quell’affare simile al cannocchiale. Provavano tanta gioia nel manovrarlo.
Era tardo pomeriggio quando arrivarono i loro papà. Si misero a giocare tutti insieme e Aldo disse: «In cantina avete trovato anche il mio gioco preferito!» ed Enzo lo interruppe dicendo: «Come si chiama questo apparecchio? È meraviglioso!» «Sì, è vero!» gridò Arturo.
Aldo rispose: «È uno caleidoscopio, me lo ha regalato mio nonno alla vostra età. È un oggetto affascinante e lo ha fatto con le sue mani. Mi ha aiutato a capire molto sulla vita».
«Cosa intendi papà?» disse Arturo. Aldo riprese: «La visione del mondo cambia in base alle lenti che decidiamo di inforcare. Non bisogna mai fermarsi alle apparenze. La parola d’ordine è guardare dentro se stessi per esprimersi al meglio».
Arturo aggiunse: «Per noi, infatti, questo caleidoscopio ci rivela i colori della lava dei vulcani. La nostra passione».
La curiosità dei due amici simboleggiava la strada verso la scoperta delle bellezze del mondo.
Elvira Morella
un bel racconto gradevole da leggere con du bambini curiosi e un papà intelligente
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Grazie!
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