
Tom aveva paura del buio e dei rumori che riempiono il buio. Aveva paura di stare solo, e d’incontrare gente che non aveva mai visto prima. Erano tante le cose che facevano paura a Tom, ma quando stava insieme al nonno le sue paure sembravano meno importanti. Tom si sentiva bene con il nonno. D’estate, quando trascorreva lunghe settimane con lui nella sua casa in montagna, al limitare del bosco, era felice. Con la mano stretta in quella del nonno si sentiva sicuro, più forte, protetto.
«Non voglio diventare grande» annunciò una sera, all’ora di mettere il pigiama e prepararsi per andare a letto.
«E perché mai?» chiese il nonno stupito.
Perché non voglio andare in giro da solo, affrontare gli sconosciuti, il traffico, fare delle scelte importanti, come il lavoro, la casa… tutto da solo. E se sbagliassi? È meglio essere piccoli, con qualcuno che decide per te, ti protegge dai pericoli, ti rimbocca le coperte, ripara i tuoi sbagli e ti stringe la mano nella sua quando hai troppa paura. Questo pensava Tom, ma si vergognava un po’ e preferì rispondere:
«Perché se no tu resteresti solo. Quando papà e la zia Lina sono diventati adulti sono andati a vivere in città. Io invece non voglio crescere, così resterò sempre qui con te. Non saresti felice se restassimo sempre insieme?»
Il nonno ci pensò un po’ su e poi disse: «Certo che sono felice quando sei qui con me, ma voglio anche che tu cresca e viva la tua vita, non che tu ti senta obbligato di vivere la mia.»
«Ma la tua vita mi piace, nonno.»
«Certo, ma quando sarai grande forse ti piacerà meno e comunque avrai voglia di camminare sulle tue gambe, fare le tue scelte. Ognuno deve fare la sua strada.»
«No, io no.» Ribatté cocciuto Tom.
Il nonno non disse nulla, aspettò che il bambino si fosse infilato il pigiama, lavato i denti e messo a letto. Quando lo raggiunse per la storia della buonanotte, si sedette sulla solita seggiola e annunciò:
«Questa sera niente libri, ti racconterò una storia vera.»
Tom si rizzò a sedere, per ascoltare con attenzione.
«Diversi anni fa, quando non eri ancora nato, durante una passeggiata nei boschi, trovai un cerbiatto ferito. Aveva una zampa rotta e non poteva più camminare, probabilmente era il motivo per cui gli altri lo avevano abbandonato. Lo portai a casa, anche se si dibatteva perché aveva paura, e mi occupai di lui. Pulii la ferita, gli steccai la zampa con un pezzo di legno e delle bende, gli diedi cibo e acqua.»
«Cosa mangia un cerbiatto?» chiese il bambino.
«Erba, semi, foglie, piccoli germogli teneri… né hamburger né patate fritte, se te lo stai chiedendo.»
Tom rise e scosse la testa.
«E come lo avevi chiamato?»
«Non gli avevo dato un nome, lo chiamavo “amico”, o “cerbiatto”, era un animale selvatico e non volevo trattarlo come un barboncino. Ma, anche senza un nome, finimmo per affezionarci molto l’uno all’altro. Poco alla volta la sua ferita guarì e ricominciò a camminare, prima con fatica poi sempre più sicuro. I mesi passavano e il cerbiatto diventò un giovane cervo, andava a cercare il cibo nei boschi, a perlustrare i dintorni, più il tempo passava più i suoi giri si facevano lunghi e le esplorazioni più lontane. Anche se la sera tornava sempre a casa da me, sapevo che un giorno sarebbe partito per davvero.»
«Ma perché?» protestò il bambino.
«Perché stava diventando adulto e doveva incontrare altri cervi, vivere in branco, fare dei cuccioli. Vivere la sua vita, insomma.
Per farla breve, arrivò il giorno in cui partì per non tornare. O meglio, ogni tanto tornò a farsi vedere nei paraggi, ma solo per un saluto, aveva trovato un branco e viveva con loro. Era un modo per farmi sapere che stava bene.»
«E non ti mancava? Non eri triste?»
«Un po’, certo, ma ero più felice del fatto che stesse bene, e orgoglioso di averlo visto diventare grande, forte e indipendente. Ogni tanto lo vedo ancora, bè non so se sia lui o uno dei suoi figli, perché è passato tanto tempo, ma a volte, la mattina presto, quando salgo sui sentieri più elevati, lo scorgo, sulle cime, alto, fiero, e mi sento felice di sapere che è un po’ anche merito mio.»
«Mi ci porterai?»
«Se vuoi, ma sono sentieri un po’ più difficili di quelli in cui andiamo di solito. Forse devi aspettare di essere un po’ più grande. E non posso assicurarti che lo vedremo, perché i cervi sono animali liberi. Ora dormi, piccolo cerbiatto. Buonanotte».
«Buonanotte» rispose mentre il nonno gli rimboccava le coperte.
Quella notte Tom sognò il cervo che si stagliava fiero contro il cielo, su una montagna altissima, e dormì tutta la notte. L’indomani si svegliò e fece una ricca colazione pensando che crescere non doveva essere poi così male. E da allora, anche se non aveva smesso di avere paura, quando la paura si faceva troppo forte, chiudeva gli occhi e immaginava di essere un grande cervo possente sulla cima di una montagna e sorrideva, fino a che la paura si faceva abbastanza piccola da poterla spingere via con una cornata.
Marezia Ori-Elie