
Questa è la storia di Rino, un fantasma super fino che si aggirava per le vie del centro cittadino in cerca di cibo e del buon vino, quando all’improvviso sbucò davanti a un ristorante con un’insegna lampeggiante: Chez Dino. Incuriosito dall’aspetto invitante, trapassò il portone sfoggiando un sorriso trionfante.
Intenti a non far cadere i piatti fumanti, i camerieri correvano zelanti. Non sembravano veder in giro Rino che per salutarli fece più di un inchino. Purtroppo ogni tentativo miseramente fallì e non per nulla Rino s’indispettì. Gonfiò il petto più che poté e soffiò così forte che le mura tremarono e persino le pettinature delle signore sussultarono. Quando finalmente tutti si girarono nella sua direzione, Rino aprì la bocca per fare la presentazione. Il desiderio ben presto si dissolse, perché nessuno dei presenti di lui si accorse.
La gente continuò a mangiare e i camerieri a correre a destra e sinistra come se nulla fosse, facendo venire a Rino un colpo di tosse. Finse di soffocare e star per morire, si gettò per terra e iniziò a inveire. Si stava già strappando i capelli dalla disperazione, quando all’improvviso gli venne un’intuizione. Al tavolo nell’angolo era seduto un bambino e i suoi occhi vispi seguivano i movimenti di Rino. Il volto pallido del fantasma si illuminò, non tutto era perduto, con gioia pensò. Era affamato, inutile negare, ma voleva soprattutto giocare.
Tuttavia, il bambino non sembrava in vena di giochi, a lui interessavano solo i dolci, e quando il fantasma gli sfrecciò accanto, non nacque alcun incanto. Incurante delle macchie rosse sulle guance paffute, mangiò la pasta fino all’ultimo boccone, e poi si fiondò su un grosso torrone. Intristito, Rino incrociò le braccia in segno di protesta e dalla fame gli girò un poco la testa. Il profumino delizioso stuzzicava l’appetito di Rino che avrebbe dato tutto per un pezzo di formaggino. Non disdegnava la lasagna e altre pietanze squisite, ma potevano andare anche olive farcite.
Nessuno sapeva quanto fosse complicata la vita di un fantasma, sempre a svolazzare da solo a destra e a manca. Non aveva casa né amici con cui condividere le marachelle, e per far passare il tempo in fretta si faceva lunghe pennichelle. Di mangiare come un re nemmeno a parlare, erano pochi i ristoratori di cui potersi fidare. La gente aveva paura dei fantasmi e pur di tenerli lontani li sgridava e prendeva a sassi. Ma cosa mai gli aveva fatto Rino, che era silenzioso come un pesciolino? Più che fantasma, un fantasmino! Voleva solo con gli umani giocare, mica perché affamato li intendeva mangiare!
Mentre rimuginava sul destino infame, dagli occhioni grondavano grosse lacrime amare. Forse per pietà o perché davvero pentito, il bambino venne da lui e gli fece un regalo inatteso quanto gradito. Ancora confuso Rino smise di piagnucolare, e prima di azzannare con gusto il boccone genuino, valutò con sospetto l’offerta del piccino. Mangia, mangia, disse il piccolo paciere e corse a portare a Rino un bicchiere. Il pezzo di pane scivolò giù con scioltezza e a Rino sembrò una vera prelibatezza. Lo accompagnò con un goccio di vino giusto per far contento il bambino. Non avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma gli era già passata l’arrabbiatura.
Un po’ di pane, un po’ di vino, ecco quanto bastò per sigillare l’amicizia tra Rino e il bambino, che in seguito si scoprì fosse figlio di Dino. Lo chef rinomato divenne il cuoco di Rino e solo per lui creò il menu fantasmino: tutta roba buona e dal sapore genuino, che ancora oggi delizia il palato di ogni bambino.