
Le isole dalla sabbia granulosa e bianca che se ne stanno in panciolle in mezzo all’oceano hanno tutte la stessa storia: hanno tirato su il naso dalla superficie dell’acqua per poter ammirare la profondità dell’oceano color cobalto sporgendosi fino a immaginare che il cielo e l’acqua si confondano all’orizzonte, e che prima o poi accadrà che una nuvola spumosa e bianca si tufferà in acqua. Nel frattempo, mentre sognano a occhi aperti restano ancorate al sicuro nella loro piccola baia, curandosi che la trapunta trasparente d’acqua tutt’attorno a loro sia abbastanza calda per tutti gli animali che vi si nascondono sotto, persino per i pesci aggressivi come gli squali che vanno a deporre le uova nell’acqua calda vicino alla riva sabbiosa e lasciano i figli a nuotare nel tepore finché non saranno abbastanza grandi per avventurarsi nell’oceano.
Un’isola che non era né troppo piccola da sentirsi sola nel grande blu, né troppo grande da occupare lo spazio di mare della sua vicina, era tanto felice del panorama di cui godeva, della sinfonia della risacca delle onde che sentiva ogni giorno da aver deciso di volersi prendere ottima cura dei pesci, delle tartarughe, degli uccelli che l’avevano scelta per vivere e fece in modo che sul suo dorso crescessero delle palme dalle ampie foglie, che potessero fare ombra a chiunque ne sentisse la necessità.
In un tale paradiso, due palme innamorate, dinanzi alla calda esplosione di colori del tramonto pensarono di stringersi in un forte abbraccio di radici, e qualche anno dopo la loro famiglia si ampliò: il nuovo arrivato venne chiamato Paco, era tozzo e legnoso, cresceva forte e robusto ma mamma palma spesso si lamentava con lui che avesse tutto il cuore nelle frondose foglie verdi, sognanti, piuttosto che nelle radici che avevano bisogno di crescere salde.
Una sera, mentre i genitori si abbracciavano teneramente la piccola palma rimase impietrita a osservare il sole che scendeva sempre più, sparendo oltre l’orizzonte. Il disco luminoso sembrava sciogliersi!
Forse era stato il blu in cui il suo colore si era disperso ad aver generato gli sbuffi di rosa e i guizzi di rosso che sfumavano tutt’attorno ed era uno spettacolo festoso e degno di una morte gloriosa visto quanta gioia aveva portato il sole quel giorno.
Ma perché – si chiese Paco- nessuno sull’isola si allarmava per quell’evento?
Non li spaventava l’idea che il sole li stesse salutando per l’ultima volta, che non sarebbe più tornato e che da quel momento in avanti lui e tutti gli altri sull’isola avrebbero dovuto vivere in un buio drappeggiato di stelle?
La piccola palma iniziò a piangere e i suoi genitori cercarono di farglisi vicini per riscaldarlo, ma nessuna palma a loro memoria aveva mai sofferto il freddo. Pensarono che dipendesse dall’incessante soffio di vento e si prodigarono per rimboccargli la sabbia calda attorno alle radici.
Non ci fu modo di farlo smettere o di consolarlo. A notte fonda i singhiozzi di Paco cessarono, ma le lacrime continuarono, ininterrotte.
Sia la palma mamma sia la palma papà erano rimasti svegli più a lungo possibile per confortarlo, ma il loro piccolo era stato così preoccupato da produrre ossigeno in sovrabbondanza rendendo il loro sonno più profondo. Si trovò attorniato da un’infinità di piccoli animali che gli chiesero cortesemente di potersi addormentare appesi alle sue fronde o sulla sua corteccia dura come il biscotto, per poter respirare meglio e promettendogli in cambio di proteggerlo dai parassiti.
Quando l’aria si fece più calda, papà palma si svegliò accanto al suo piccolo.
«Cosa c’è che non va?»
«Papà…il sole si è sciolto nel mare. Non ci sarà più una stella tanto bella, non ci sarà mai più tanta luce, e noi non siamo certo in grado di ricrearlo visto che le nostre radici ci tengono saldi a terra. Come faremo, ora?»
Il padre lo abbracciò, sia con le radici sia piegando il lungo tronco flessuoso su di lui e sorrise:
«Aspetta di vedere un miracolo, allora» lo rassicurò.
Insieme percepirono che l’aria si stava facendo più calda, lentamente ma in maniera costante, come il soffio amorevole di qualcuno che nel frattempo si curava pian piano di far affievolire il buio.
Il sole lentamente fece capolino all’orizzonte, prima sporgendo il naso, poi stiracchiando i raggi come braccia assonnate mentre spandeva tutt’attorno una rassicurante luminosità e con quel gesto divise il cielo e il mare portandosi dietro il giorno.
«Vedi, Paco? Il sole si scioglie nell’acqua ogni sera e ogni mattina sorge e ci regala un’altra splendida giornata. Ti sei spaventato?»
Paco scosse le fronde del suo piccolo capo.
Il padre gli diede un buffetto affettuoso sporgendosi su di lui.
«Guarda invece quanti animali hanno chiesto e trovato rifugio su di te. Per tutto l’ossigeno che hai trasformato, per la paura di non vedere più il sole.»
Paco si imbarazzò un pochino.
«Ricorda sempre: questa magia succederà ogni sera e tu, da solo sei riuscito a produrre ossigeno per gli altri assorbendo la sola luce del sole. E quando ricapiterà che sarai al buio e avrai paura, ricorda che è una giusta emozione, che puoi però trasformare in qualcosa di buono per te e per gli altri.»
Paco conservò quel discorso nel cuore e lo portò con sé man mano che diventava più alto e la sua vista sull’oceano si espandeva.
Ogni sera, strizzava l’occhio al sole un attimo prima che sparisse ingoiato dal mare e la notte la trascorreva a regalare a tutti, dagli squali che nuotavano a riva ai pappagalli che si addormentavano tra i suoi rami, l’ossigeno.
Tra tutti gli animali si guadagnò il soprannome di Paco Produttore d’Ossigeno anche se sapeva che non avrebbe mai fatto tutto da solo… se non fosse stato per la magia compiuta dal sole!
Martina Conti