
C’era una volta un ragazzino che provava spesso rabbia e la esprimeva con il disegno e la scrittura. Paride era alto e snello, di carnagione olivastra e i suoi capelli biondi e ricci ricordavano il pelo dei barboncini, una razza di cagnolini che adorava. Le lentiggini sugli zigomi, inoltre, lo rendevano un bel tipetto.
I suoi genitori insegnavano entrambi all’università e avevano la passione per la mitologia greca e romana. Per tale motivo, avevano scelto per il loro figliolo il nome Paride: il valoroso guerriero che per amore rapì Elena, la donna più bella del mondo, dando così inizio alla lunghissima guerra di Troia.
Non sapeva spiegare a parole la sua rabbia, erano tanti i motivi: i suoi genitori avevano poco tempo da dedicargli, erano molti i divieti, da non dimenticare per essere un bravo bambino, gli adulti erano concentrati molto su se stessi e i loro impegni, lo studio era più importante del gioco e i suoi interessi erano diversi rispetto a quelli dei coetanei.
Un bel giorno, su consiglio della nonna, che si prendeva cura di lui per quasi trecentosessantacinque giorni all’anno, iniziò a rilegare con un cordino rosso dei grandi fogli colorati.
Da allora trascorse il suo tempo a riempire l’album pieno di immagini e parole, utilizzando pennelli, acquerelli, matite colorate e la propria fantasia.
Nonna Melissa era l’unica persona adulta con cui Paride riusciva a condividere i suoi capolavori, perché era paziente e comprensiva. Aveva trovato il modo per placare le emozioni esplosive e poco piacevoli.
Un pomeriggio, durante un temporale, la nonna con un tono propositivo disse: «Paride, perché non scegli uno dei tuoi disegni e creiamo una storia a quattro mani?» e il nipote rispose: «Che bella idea! Scelgo questo, chi inizia?» e la nonna lo invitò a incominciare, si sarebbe agganciata appena avrebbe avuto delle idee interessanti.
Il bambino, con entusiasmo, iniziò a scrivere: «Rabbia, un bambino rosso dalla testa ai piedi, in groppa a un cancavallo, volò alla ricerca della felicità. Il suo fedele quadrupede, Sballo, aveva la testa simile a quella di un barboncino con un musetto lungo e una chioma riccia, bionda e fluente. Il corpo, invece, era quello di un cavallo, con una bellissima coda e delle ali ampie e trasparenti. Amava i bambini e desiderava farli divertire. Rabbia riusciva a cantare e a ballare solo con lui, seguendo il ritmo della chitarra elettrica».
E la nonna continuò: «Il viaggio fu lungo e avventuroso. Durante una sosta, Rabbia e Sballo, incontrarono una donna anziana dai capelli biondi e vestita con un abito elegante, lungo e giallo come i girasoli. Erano arrivati a Gioia e fecero subito conoscenza con la sovrana Gaia».
Paride, accogliendo l’occhiolino della nonna, riprese: «La regina, con un sorriso dolce, chiese ai suoi ospiti di presentarsi e di parlare un po’ di loro». Rabbia prese la parola: «Ho otto anni e vorrei irritarmi meno per evitare i dolori di pancia e di testa e sono in viaggio con il mio cancavallo Sballo per giungere al paese della felicità».
Sballo, un po’ nitrendo e un po’ abbaiando, prese la parola e disse: «Io sono un amico di Rabbia e vorrei vederlo felice. Spesso gli consiglio di sorvolare, di chiedere aiuto agli altri se sono ciechi e non si accorgono di essere troppo concentrati su se stessi. Qualche volta ci riesce, altre fa fatica. A me piace ballare, ascoltare musica e mi piacciono i dolci, soprattutto i biscotti al gusto di carruba».
La nonna ribatté: «Siete nel posto giusto! Per esperienza posso dirvi che il luogo della felicità risiede dentro di voi. Caro Rabbia, i tuoi sentimenti esplosivi e dolorosi sono da accogliere e accettare perché fanno parte della vasta gamma delle emozioni. Per riconoscere la gioia devi sperimentare anche la tristezza, lo smarrimento, l’irascibilità. Imparerai col tempo a esporre a te stesso e, poi agli altri, cosa provi realmente in modo chiaro e pacato. Gli altri, se ti vogliono bene, cercheranno di comprenderti e di farti schivare la sofferenza. Ricordarti però che non puoi evitare nessuna emozione, vivile tutte e troverai l’insegnamento in ciascuna di esse».
Paride, con un sorriso astuto, solito di chi ha colto il senso più profondo di un discorso, scrisse: «Mi stai dicendo che possiamo anche ritornare a casa? Non devo cercare all’esterno la serenità?».
La nonna continuò: «Esatto, mio caro bambino. Potete rimanere con me tutto il tempo che vorrete, possiamo riprendere l’argomento ogni volta che lo desideri, così mi esporrai le tue domande e i tuoi dubbi. Ora andiamo a festeggiare il vostro arrivo con tutti gli abitanti di Gioia».
Paride e la nonna, rimasero per un bel po’ a guardarsi dolcemente, dalle loro mani erano emersi pensieri profondi. Decisero di aggiungere sul disegno, sopra la figura di Sballo, le impronte delle loro mani, come simbolo di condivisione e ricordo della bella giornata appena trascorsa. La nonna scelse di immergere la sua mano nella tempera blu.
Elvira Morella