
C’era una volta e una volta non c’era un’isola che se ne stava tutta raggomitolata su sé stessa, col dorso ricoperto di vegetazione di una sfumatura smeraldo, brillante e affacciata sul mare.
Alla sua estremità, quella che avrebbe dovuto essere la sua coda, si era sollevata tanto da far spuntare due montagne immense e sonnolente che tutti, dall’insetto più piccolo alla palma più alta, consideravano i loro sovrani.
La montagna regina, felice della calda luce solare che affettuosamente le massaggiava il dorso, sonnecchiava al canto della risacca del mare. Osservava molto spesso con lo sguardo perso all’orizzonte i delfini che saltavano fuori dall’acqua e ci si rituffavano dentro.
Il re montagna proprio per questo suo comportamento era spesso scontento e scorbuticamente si lamentava perché veniva lasciato solo dalla sua compagna e di conseguenza non aveva nessuno con cui parlare.
Non che i pesci, i delfini o gli squali non fossero simpatici, ma erano troppo lontani perché lui potesse parlarci e udire di rimando la loro risposta.
Gli uccelli, invece, preferivano librarsi nel cielo azzurro e i pappagalli, seppur tanto colorati da allietargli la vista, erano eccessivamente chiacchieroni e gli riempivano la testa di frivolezze, lasciandolo con la sensazione di non avere nulla da dir loro che potesse portare avanti una conversazione.
Così iniziò a sbuffare e a far tremare la pelle coriacea che era la terra e che fino ad allora era stata immobile sotto di lui. In quei momenti, a causa del suo umore nero, il cielo si oscurava e una nube di cenere e fumo partiva dalla sommità del re montagna che spandeva la sua insoddisfazione. Arrivava ovunque, accompagnata da lapilli infuocati da cui solo i pesci potevano salvarsi grazie alla spessa coltre d’acqua marina che li nascondeva.
Ben presto, la lava annerì il dorso della montagna e bruciò tutta la vegetazione ai suoi piedi. I pappagalli smisero di passargli accanto chiacchierando, le palme sulla riva facevano del loro meglio per produrre quanto più ossigeno potessero per far respirare bene gli animali dell’isola.
Quella spessa coltre di fumo rese l’isola sempre più lontana dagli occhi di qualsiasi navigante che passasse in quel tratto di mare con la sua barca. Quel pezzo di terra, emerso dalle acque, rimase isolato per molto tempo senza neppure poter ricevere visite d’estate quando gli avventurieri più coraggiosi si tuffavano dalle barche ormeggiate al largo e arrivavano a nuoto fino alla riva dell’isoletta.
L’unico contatto con il mondo erano i fenicotteri e i tucani che volavano nei nuvoli rosa e neri sembrando portare con sé timidi raggi del sole che era stato tagliato fuori dal brontolio fumoso e scuro della montagna.
Vedendo quei colori e quell’unità di gruppi così eterogenei tra loro la montagna smise di sbuffare e anche se il fuoco e la cenere cessarono quasi immediatamente, la cortina di fumo che lo isolava dal mondo, facendolo sentire ancora più solo, non accennava a diradarsi.
In una notte di tempesta, ripensando a tutto quello che aveva udito dagli stormi che erano passati qualche giorno prima di lì, diretti a luoghi più caldi e calmi, il re montagna ricordò che anche lui aveva piante attorno e animali che contavano su sé stessi ma anche su di lui per vivere bene.
Brontolò minaccioso contro il cielo perché la smettesse di adirarsi con quell’acquazzone che metteva in difficoltà anche gli alberi che non riuscivano a proteggere neppure le famiglie che gli avevano chiesto riparo.
Poi, nel blu cobalto drappeggiato di lampi, la montagna scorse all’orizzonte una barchetta con la vela rossa rovinata dall’usura che faticava a mantenere la rotta.
Il re montagna allora scosse le spalle e fece tremar la terra, per richiamare i delfini e chiedere loro di far da guida al marinaio che si trovava su quella barchetta e che era probabilmente in difficoltà.
I delfini tuffandosi e nuotando per mantenere gli occhi sul loro obiettivo si avvicinarono sempre più. Assistettero i bambini che trovarono a bordo, recuperando il piccolo Marco che era caduto in acqua, e spingendo la barca su cui si trovavano gli altri tre amici fino a che non si incagliò a riva, fermandosi e permettendogli di scendere.
I bambini trascorsero la notte sull’isola vulcanica, al sicuro, e il mattino seguente, mentre si rincorrevano sulla spiaggia e nella piccola foresta verde, il re montagna sentì la sua regina svegliarsi e stringersi a lui. Avere la vita intorno, anche degli umani, era tutto ciò che desideravano e fu ciò che ottennero nei mesi successivi quando il fumo iniziò a diradarsi e l’isola tornò a essere visibile e visitata dalle barche.
Se vi capitasse di passare tra le isole dei tropici e ne trovaste una con due montagne, strizzando gli occhi potreste ancora vedere il re montagna che da tempo ha smesso di brontolare.
Martina Conti