
C’era una volta e una volta non c’era un’imperiosa montagna che estendeva lo sguardo sul bacino ai suoi piedi. Tutto di nero e di bianco era tinto e persino il prato in quella conca i colori aveva stinto.
La montagna per veder felice quel verde che si disperdeva fino all’orizzonte, gli aveva insegnato a cibarsi di noci. I noceti non ce n’erano così aveva chiesto agli stormi d’uccelli, che nel cielo volavano alti e maestosi, di portargli semi nei mesi successivi per far crescere alberi e nutrire i fili d’erba tutti uniti. Divisi soltanto nel mezzo del campo da un sentiero ricco di fiori, i noceti etnici tutti insieme si facevano aedi del ritmo della natura cantando canzoni a volte storti come un mirto, altre parlando con la gaia acutezza di un ago di pino, suscitando ogni volta nell’erba una risata.
Le ortensie che dopo mesi erano cresciute lì attorno, un giorno s’alzarono ai lati del sentiero; le radici non si scansarono, comode restarono allietate accanto alberi tenori che intonavano melodie per intrattenere quella terra senza età.
Tra i noceti un giorno notarono un albero incerto, che si guardava attorno spaesato. Si sentiva come avvolto da un recinto fatto di foglie e di cortine, mentre la sua chioma svettava in alto scossa come bruma al vento.
Sognava di volar via come foglia viaggiante nel cielo perché era triste e avrebbe dato di tutto per poter evadere. Vedere un altro prato e cambiar aria forse lo avrebbe fatto sentir nuovamente giulivo come le rape ridenti.
Le ortensie intuirono che l’albero potesse essere Enrico, il sognatore, che per la sua voglia d’evasione sembrava appartenere a una varietà torinese: un albero nato da un seme di nocciole sotterranee, con lunghi corni e un cerino al centro. Forse per questo nel suo cuore sospirava alzando gli occhi al cielo mentre ascoltava l’eco degli uccelli che si spostavano nel blu senza nubi.
Nel vederlo la montagna rombava e la sua ombra era carica d’un’aura di paura. Ogni volta che una piuma cadeva, considerava gli uccelli come malvagi perché era lei a bramare il merito di aver creato una famiglia d’alberi verdi. Non aveva voglia di sentir parlare di quel Tronco d’Aloe di Enrico che se ne voleva volar via, desideroso di cambiare il percorso che la vita aveva scelto per lui e dimentico delle sue radici che ricadevano profonde nella terra.
Enrico, l’aedo pien di noci, dal canto suo voleva veder altre cime e non solo quei tronchi che percepiva come pali che gli strizzavano il cuore di tristezza.
«Cosa vai blaterando, Aloe Floscia d’un albero? La tua chioma piena di idee si riempie di pensieri e sempre ricadi a picco perché lontano di certo non puoi andar» lo rimproverò la montagna.
«Voglio vivere avventure sfiziose e deliziose, volar oltre le vette senza aver timore di veder cortei remoti e salutar principi. Sogno di adornarmi di colori, di cantar nuove melodie secondo le note mosse dalle arpe del vento. Se questo significa esser arido per questa famiglia, così sia, poneteci il veto. Ma mai smetterò di rincorrere il mio sogno.»
E da allora ogni giorno Enrico guardava il cielo finché non scorse gli ultimi raggi d’estate che lentamente si raffreddavano per lasciar giungere l’inverno col suo lungo mantello di brina bianca.
Prima che della calda estate quel gelido vecchio prendesse il posto, Enrico rimirò il cielo vasto. All’ultimo stormo lì di passaggio, un seme dei suoi affidò e con esso a loro tutto il suo fogliame regalò. Sperò che almeno il mondo potesse vedere il suo seme prima che fosse depositato in un altro alloggio più colorato. E così tutto emozionato, prima che si seccassero le sue radici, trasferì l’anima in quella piccola parte di sé che tra gli artigli degli uccelli aerobici vide il mondo e viaggiò di notte e giorno. Aveva, dunque, realizzato il suo sogno di esser non solo un albero sognante ma anche volante, e di lui per molto non si seppe più niente.
Se ascoltate il canto degli uccelli migratori lor vi diranno che or Enrico di certo non è più parte degli alberi cantori, ma cresce rigoglioso felice e contento in un campo di rape. Ha donato il suo cuore alla bella Tea fogliosa e canta per lei storie di noci, luoghi visti e avventure vissute, ma assicura che di rape barbute una più bella non ne abbia mai incontrata. Così la loro relazione, fatta di colori, canti e amore, cresce abbracciata.
Martina Conti