Lucilla e il Monte della Saggezza

Jocelyn 8 anni (Messico)

C’era una volta una farfalla triste — molto, molto, triste — che volteggiava nell’aria in cerca di dare un senso alla propria vita. Lucilla, così si chiamava, era la più piccola della sua specie e aveva le ali di un verde così slavato da risultare spesso trasparente. Se almeno avesse avuto qualche segno  particolare, anche minuscolo, ma purtroppo la natura non era stata generosa con lei. 

«Povera me! Nessuno mi vede, sono invisibile» piagnucolava sconsolata. Onde evitare gli sguardi compassionevoli, un giorno si era data alla fuga e dopo aver sorvolato chilometri e chilometri di terra e mare, stanca e stremata aveva trovato rifugio in un bosco fitto fitto. Non sapendo dove andare, per fare un sonnellino si era appoggiata sul ramo di quello che credeva fosse un albero. Solo al risveglio aveva capito che era il muso di un lupo solitario al quale aveva donato, alzandosi in volo all’improvviso, un solletico leggero, leggero. 

«Atciù

«Signor Lupo, mi scusi. Non volevo disturbarla.»

«Chi è? Sei tu, Moscone? Se ti becco, ti faccio nero!»

 Mentre il lupo inveiva, a Lucilla sfuggì un risolino. Essere trasparenti a volte poteva avere dei pregi, ma a lungo andare diventava noioso. In fondo voleva soltanto essere come tutte le altre farfalle: gioiosa, visibile, e soprattutto colorata. Pensando e ripensando a quel problema, le venne in mente un’idea grande, grande. 

«Signor Lupo, mi chiamo Lucilla. Sarebbe così gentile da prestarmi un po’ del suo colore?» Un grigio qualsiasi era sempre meglio di un verde slavato tendente al trasparente.

«Lucilla, chi?»

«Lucilla, la farfalla.»

«E come faccio a darti un po’ del mio colore se non ti vedo?»

Lucilla sussultò. Già, come? Era un bel guaio! 

«Ci sono! — esclamò il lupo — Perché non vai al Monte della Saggezza e gli chiedi di aiutarti a ritrovare i tuoi colori?»

«Potrebbe farlo davvero?  E dove lo trovo?»

«Semplice: segui il vento dell’Est e la strada apparirà davanti a te in un soffio.»

Lucilla ringraziò il lupo e volteggiando allegramente si lasciò accarezzare da un refolo freddo, freddo che sperava potesse indicarle il cammino giusto. Il viaggio fu lungo, molto lungo. La natura intorno a lei cambiava di continuo i colori: sotto i raggi del Sole diventava chiara, chiara; sotto quelli della Luna scura, scura. Quando la stanchezza era tanta, e in certi momenti Lucilla aveva proprio voglia di mollare, si fermava a fare un riposino sui petali variopinti con il desiderio di prendere da loro una striscia colorata piccola, piccola. 

Girovagando senza sosta, sospinta da un vento gelido proveniente forse dall’Est, un giorno la farfallina triste raggiunse i confini del mondo. Di fronte a lei si apriva una distesa verde dominata non da una, ma bensì due montagne alte, alte e talmente uguali nell’aspetto da sembrare gemelle. Erano entrambe nere e sulle loro cime troneggiavano gli stessi identici alberi. Lucilla strabuzzò gli occhi. Persino il cielo — con quelle due nuvole uguali, uguali ai lati del Sole — sembrava prendersi gioco di lei. 

«No, non è possibile» bofonchiò attonita. Di tutti i luoghi del pianeta che aveva visto prima di arrivare lì, quello era decisamente il più strambo. E se fosse stata un’allucinazione?Allarmata, Lucilla si mise a volteggiare come un’ossessa. Fece diverse acrobazie. Andò su e giù, poi a destra e a sinistra, poi di nuovo su e di nuovo giù. Da qualunque prospettiva guardasse era sempre davanti a quei due osservatori severi che non appena ebbe terminato di fare la scema tuonarono all’unisono.

«Chi sei e quali nuove ci porti?»

Lucilla si quietò. No, non era possibile che sentiva davvero quella voce. Oppure sì? E se era una voce reale, a chi poteva appartenere? A quei due energumeni montanari o ai due alberi che avevano sulle teste? Per quel che ne sapeva Lucilla, le nuvole erano soffici, soffici, ma non avevano la bocca, o almeno lei non ne aveva mai vista una.

«Ma voi davvero  mi vedete?»

«Ci stai dicendo, forse, che siamo ciechi? — grugnì la montagna a sinistra — Allora, cosa aspetti a presentarti?»

«È chiaro che mi vedete, altrimenti non mi avreste parlato» mormorò Lucilla prima di pronunciare, alzando leggermente la voce per farsi sentire, il proprio nome.

«Siamo lieti di conoscerti — disse la montagna a destra e la sua gemella annuì — Io sono Sentimento e lei è Ragione. Cosa possiamo fare per te?»

La farfalla triste, triste sospirò. Di tutte le strade che c’erano, doveva prendere proprio quella sbagliata? Il lupo solitario era stato chiaro. Solo il Monte della Saggezza poteva darle una mano con i colori mancanti. Per quanto cercassero di essere gentili, quelle due montagne dall’aspetto severo non avevano gli stessi poteri ed era inutile continuare a conversare con loro. 

«Grazie, ma non potete fare nulla per alleviare le mie pene. Solo il Monte della Saggezza è in grado di farlo, ma purtroppo ho sbagliato la strada e non sono riuscita a trovarlo.»

Le due montagne alte, alte si scambiarono un’occhiata d’intesa prima di scoppiare in una risata fragorosa. 

«E cosa ti fa pensare di esserti smarrita?»

«Semplice: voi siete due e non uno.»

«Siamo due, è vero — rispose la montagna a sinistra —, ma in realtà costituiamo un corpo solo.»

«Non capisco» disse Lucilla.

«Per semplificare il concetto — s’intromise la montagna a destra — , tu ci vedi in due, ma noi siamo una montagna sola. Anzi, geograficamente siamo un Monte.»

«Quel monte?» chiese la farfalla.

«In persona!» gridarono i due all’unisono. 

«E quindi — Lucilla soppesava piano le parole —, se io ve lo chiedo, voi potete restituirmi i colori?» 

«Non si restituisce qualcosa che non si è mai avuto» disse Ragione.

«Vero — controbatté Sentimento —, ma ci sono altri modi.»

«E quali? Non ne conosco nemmeno uno.»

«Ti sei mai chiesta a cosa ti servono i colori?» domandò Ragione.

«E perché avrei dovuto? Tutte le farfalle hanno i colori, è nella nostra natura. Sono l’unica a essere diversa.»

«E che problema c’è? Noi, forse, ti sembriamo normali? Hai mai visto due montagne che sono una montagna sola?»

«No, ma…» balbettò Lucilla.

«Ma?»

«A voi tutti vi vedono, a me non mi vede nessuno.»

«Non è proprio così. Tutti sanno che esisti, ma a volte non riescono a vederti perché sei di un colore speciale, molto speciale, che non salta facilmente agli occhi.»

«E qual è, questo colore?»

Ragione e Sentimento si presero per mano e sorrisero all’unisono.

«Si chiama Speranza.»

Quel giorno Lucilla capì che non era l’assenza dei colori a renderla visibile, ma la sua essenza e quella si vedeva soltanto con il cuore.

Pubblicato da Emy Ristovic

Serbian expat living in Italy. Writer. Journalist. Storyteller and founder of @piccoligrandisognatori.

3 pensieri riguardo “Lucilla e il Monte della Saggezza

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