La mia amica supereroina

Gaia F. 9 anni (Italia)

Mimmo e Carlotta si conoscono da quando correvano dietro alla gonnella della signora Teresa, la maestra d’asilo. La vita, o meglio le loro mamme che erano amiche di lunga data, ha voluto che abitassero nello stesso palazzo, nella stessa scala, proprio l’uno di fronte all’altra.

Mimmo è un bimbo taciturno, dalla pelle biancastra e lentigginosa. Per i suoi capelli rossicci, che cadono sulla fronte mettendo in ombra due occhi celesti privi di malizia, è stato soprannominato dai ragazzini del quartiere il Malorosso. Mimmo sa, la mamma gliel’ha spiegato più volte, che si tratta di una teoria senza fondamenta. Anche il suo è un capello rosso dai riflessi dorati, ma sorride sempre e non è affatto una persona malvagia. Tuttavia, le brutte parole che Mimmo sente in giro, le stesse che rimbombano alle sue spalle quando attraversa il cortile della scuola o si trascina per i corridoi, persino in classe nonostante passino di bocca in bocca in un sussurro, lo feriscono dentro come se fossero spade di un guerriero antico. 

Carlotta è il suo esatto opposto. Mora, dai capelli lisci spesso legati in due code di cavallo ai lati del viso ovale su cui spiccano grandi occhi neri. Non sta mai ferma, presa com’è da mille interessi che spaziano dalla lettura alla musica, dagli animali ai viaggi reali e immaginari, passando per la sua più grande passione: lo sport. Corsa, volley, tennis, e infine karatè. Carlotta è talmente iperattiva che cambia idea in fretta, appena se ne stufa. Per fortuna il suo amore per la disciplina giapponese è cresciuto giorno dopo giorno, e grazie a un impegno quotidiano ha fatto di lei una vera campionessa. 

Mimmo e Carlotta vanno alla stessa scuola, “Maria Montessori”, ma in classi diverse perché tra i due c’è un anno e mezzo di differenza. Carlotta è la più grande ed è proprio lei, la mattina, a bussare per prima alla porta di Mimmo che al risveglio è un po’ più pigro. Nel tragitto che li porta all’edificio tinto di verde in fondo alla via, l’amico fraterno non spiccica una parola e tiene sempre lo sguardo in basso. Carlotta può solo intuire il motivo della sua preoccupazione, ma sa anche che non gliene parlerebbe nemmeno se lo costringesse con forza, così dice la prima cosa che le passa per la testa:

«Sai, non ho fatto i compiti. Questa volta la maestra Livia mi ammazzerà sul serio.»

Mimmo annuisce senza replicare, le mani dietro al busto leggermente inclinato in avanti. Dopo aver sbuffato per la mancanza di un qualsiasi commento, anche il più banale di tutti, Carlotta continua imperterrita: 

«E che ci posso fare? Tra gli allenamenti e il resto — e con il resto intende proprio quello che non può dire con la speranza che l’amico legga tra le righe — non ho avuto manco il tempo. Se solo la maestra Livia sapesse quanto è dura la vita di una campionessa. E poi, diciamocelo, il tema sugli alieni è noioso. Mica andremo a vivere nello spazio.»

Mimmo non risponde, e come potrebbe con tutti quei pensieri che gli svolazzano nella testa. Nonostante il fiume di parole che spesso le sgorga nel petto, persino una come Carlotta si ammutolirebbe al posto suo. Mentre si avvicina all’amico e gli mette una mano sulla spalla, un sorriso tirato le allunga gli angoli della bocca. Camminano in silenzio a capo chino. Carlotta vorrebbe fare di più — molto di più —, ma non sa cosa né come.  

Davanti al portone della scuola, seduti sulle scale, ci sono i soliti cretini che appena li vedono avvicinarsi cominciano ad alzare la voce e le mani. Al passaggio di Mimmo, alcuni si scansano per non vedersi attaccato il morbo della malvagità (lo chiamano proprio così); altri lo insultano accompagnando le parole e i gesti con delle facce contratte dall’astio.

«Piantatela!» grida Carlotta al capo branco, uno spilungone di nome Brando che ha l’appellativo del Boss.

«Perché se no cosa farai, chiamerai la mammina?» risponde lui con voce roca scimmiottando un noto malavitoso. 

Carlotta sorride, mani sui fianchi, atteggiandosi a una supereroina che non vede l’ora di mettere a terra il cattivo della storia.

«Se non smettete di prendere in giro Mimmo, ve la dovrete vedere con me.»

La risata di Brando taglia l’aria ed è così rumorosa che attira gli sguardi dei passanti. Anche se a scoppio ritardato, arrivano pure i ghigni dei suoi compari già pronti per fare rissa. Dopo essersi sfilato la maglia, il più piccolo del gruppo si arrotola le maniche della camicia e si mette in posizione da combattimento, ma Brando lo ferma con un’alzata di mano. Non bisogna che dica altro, sanno già tutti che quella ragazzina insolente  è un affare suo.

«Pensi di farmi paura, mocciosa? Se voglio, posso farti male con un dito solo.»

Il branco è un fremito di approvazione. Qualcuno persino si azzarda a invitare il giovane capo all’azione. Carlotta tace, le labbra incurvate appena, appena. Dopotutto, si dice scoppiando a sua volta in una risata di sfida, un po’ di allenamento extra, prima dei campionati junior, non le farebbe male. Se c’è qualcosa che detesta, sono quei cinque cretini che terrorizzano non solo il quartiere, ma anche gli alunni della loro stessa scuola.

«Fammi vedere come lo fai, avanti — sbotta Carlotta —, cosa aspetti?»

Mimmo non fiata e non lo fanno nemmeno gli altri componenti della banda in attesa che Brando faccia la prima mossa. Lo spilungone bullo e l’atletica Carlotta si squadrano, si misurano come due animali feroci, prima di arrivare alle mani in una lotta, nonostante la stazza di Brando, completamente impari. L’abilità inaspettata della ragazzina provoca negli amici di Brando un moto di paura mista all’ammirazione sincera che si guardano bene dall’ammettere davanti al capo. Dopo neanche una decina di minuti, Brando si trova a terra con la faccia all’ingiù e le mani in una morsa stretta stretta dietro alle spalle. Carlotta sorride.

«Com’è che dicevi prima? “Se voglio, posso farti male con un dito solo.” La prossima volta, prima di aprire la bocca, taci. E ora, se vuoi che ti libero, chiedi subito scusa a Mimmo per tutte le cattiverie che hai messo in giro.»

Brando, cercando invano di dimenarsi, mugugna qualcosa di incomprensibile.

«Cos’hai detto? Non ho capito. Mimmo neanche tu, vero? No, nemmeno lui ti ha capito. Più forte, moccioso, devono sentirti tutti.»

«S… scu… scusami, Mimmo.»

Ancora sotto shock per quanto sta succedendo, le guance rosse come due mele appena colte, Mimmo annuisce senza mai distogliere lo sguardo dall’amica. 

«Non ti chiameremo mai più Malorosso» continua Carlotta  con fare duro e Brando ripete tra i denti stretti sputando tra una parola e l’altra. Soddisfatta, Carlotta lo lascia andare e si gira verso i suoi compari squadrandoli uno a uno.

«Qualcun’altro vuole farmi male con un dito solo?»

Gli amici di Brando fanno di no con la testa e prima che Carlotta glielo ordina, chiedono alla loro volta scusa a Mimmo promettendo che non succederà mai più.

«Dove hai imparato quelle mosse?» chiede incuriosito il più piccolo della banda.

«C’è una scuola, se vuoi posso darti l’indirizzo.» 

Il bimbo annuisce e senza nascondere l’imbarazzo le porge una mano che Carlotta afferra subito. Anche oggi ha fatto una buona azione e smessi i panni della supereroina, che accorre in aiuto agli amici bisognosi, può tornare a essere una bambina come tutte le altre.

Pure Mimmo è contento. Ha proprio un’amica d’oro. Non gliel’ha mai detto, timido com’è, ma da grande vorrebbe essere proprio come lei: forte, sportivo, e soprattutto coraggioso.

Pubblicato da Emy Ristovic

Serbian expat living in Italy. Writer. Journalist. Storyteller and founder of @piccoligrandisognatori.

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