Nuova primavera

Melissa, 5 anni

Quell’anno l’inverno sembrava non voler finire. Non era solo una sensazione data dal persistere di una spessa coltre di neve e dalle temperature rigide, era un dato di fatto: l’inverno non sarebbe finito.

L’autunno precedente c’era stato un magnifico ricevimento alla corte, per festeggiare i vent’anni di governo della coppia regnante, e tutte le personalità più in vista erano state invitate. Ma la regina aveva una controversia personale con la fata Vespertina e, nonostante i consigli solleciti del ciambellano, si era rifiutata in modo categorico di invitarla.

Ora, la fata era piuttosto schiva, e non avrebbe partecipato comunque, ma era anche permalosa e se la prese a male. Lanciò una maledizione sull’intero regno. Nessuno se ne accorse, finché non venne marzo e ancora non si vedeva nessun accenno di primavera.

Solo allora la regina ripensò a chi non aveva invitato e iniziò a sospettare che c’entrasse qualcosa. Mandò al rifugio della fata, una casetta sperduta in cima a una montagna, dei messaggeri con doni e richieste di pace.

Ne tornò soltanto uno, con i capelli bianchi come fosse invecchiato anzitempo, e prima di svenire per la stanchezza del viaggio e le terribili prove attraversate, il cavaliere riuscì a riferire il modo di annullare il maleficio: la fata chiedeva in cambio una delle figlie del re.

Nessuno sapeva quale sorte sarebbe toccata alla sfortunata fanciulla, quindi le due figlie maggiori si diedero subito da fare per convincere i genitori che la scelta più adatta era la più piccola, perché aveva un carattere mite e di certo avrebbe soddisfatto maggiormente la fata.

Nerina, la figlia minore, dopo aver saputo le novità, si offrì spontaneamente di andare. Riteneva che anche le sue sorelle avessero fatto lo stesso, e per proteggere sia loro che il regno e i suoi abitanti, insistette sul fatto di essere la scelta più adatta.

A quel punto il re e la regina si consultarono e decisero, anche se a malincuore, di accettare la richiesta.

Il giorno della partenza buona parte della corte si riunì nel cortile del castello per salutarla. Tutti avevano facce meste e qualcuno le regalò dei fiori, come se fosse diretta in guerra. La ragazza accettò ben volentieri i saluti e i fiori, ma disse a tutti che sarebbe tornata, e che non dovevano stare in pena per lei.

Quando però si ritrovò sulla strada che conduceva alla montagna iniziò a sentirsi sola e spaesata e a chiedersi cosa ne sarebbe stato di lei. In sella al suo cavallo, arrancò tra la neve alta e i sassi che ostruivano i sentieri, e dopo qualche giorno giunse infine in vista della dimora della fata: niente più che una casa di legno costruita su un pendio.

Scese da cavallo con una certa trepidazione, ed entrò nella modesta casetta. Chiamò per annunciarsi, ma pareva non ci fosse nessuno. Incerta su cosa dovesse fare, notò che l’ingresso aveva bisogno di essere spolverato, e che nella piccola cucina c’erano piatti e pentole da lavare. Così pensò che mentre attendeva la fata e il proprio destino poteva almeno tenersi impegnata. Spazzò e lavò le assi dell’ingresso, e tirò a lucido la cucina.

Aveva appena terminato quando sentì chiudersi la porta d’ingresso. Il cuore prese a batterle forte, ma quando la fata apparve sulla soglia della cucina la paura scemò. Era una creatura non più alta di un metro, secca e bitorzoluta come un vecchio albero.

La fata gettò un’occhiata intorno e fece una smorfia. «Chi ti ha detto di sistemare la casa?»

«Nessuno» ammise la fanciulla, abbassando la testa. «Ho solo pensato di rendermi utile.»

«E chi ti dice che non ti abbia fatta venire qui per mangiarti?»

Nerina squadrò la fata, ma non vide niente che le facesse pensare che mangiasse esseri umani. Ad ogni modo cercò di rispondere più educatamente possibile. «Nessuno, mia buona fata. Se il vostro desiderio è mangiarmi, c’è poco che io possa fare. La mia unica preoccupazione è il benessere del regno.»

La fata sputò per terra, lasciando Nerina esterrefatta. «Lo sai che le tue sorelle hanno fatto di tutto per convincere il re a mandare te? Che eri sacrificabile?»

Nerina non sapeva perché le dicesse quelle cose, tantomeno se dovesse crederci, ma raddrizzò la schiena e dichiarò in modo deciso: «Non sono responsabile per quel che fanno gli altri. Ho chiesto io di venire qui, e qualunque cosa vogliate farmi l’accetterò.»

La fata rimase qualche momento a fissarla, quindi si strofinò la faccia con fare irritato. «Be’, visto che la casa è già più pulita di quanto sia mai stata, non saprei che altro farti fare. E io ho una gran fame.» Vedendo la lieve smorfia preoccupata sul volto della ragazza, ridacchiò e aggiunse: «Non mangio esseri umani, almeno di norma.» Quindi mosse la mano e sull’umile tavola d’abete apparve un piccolo banchetto.

Mentre le due donne mangiavano, la fata chiese a Nerina notizie della corte. La ragazza l’aggiornò per quel che poté.

«E che mi dici di tua madre, la regina? È sempre acida e snob come la ricordo?»

Nerina si affrettò a tessere le lodi di sua madre, ma a metà discorso vide il viso legnoso della fata adombrarsi, e decise di dire la verità. «Be’, non è sempre facile averci a che fare. Mi ha mandata qui sapendo che forse sarei morta, ma l’ha fatto per il bene del regno. Di questo sono sicura.»

La fata meditò, mentre giocherellava con le verdure nel suo piatto. «Può darsi. Ma forse non sai che anni fa avrei dovuto sposare il re, e che lei se lo portò via.»

Nerina posò la forchetta, dispiaciuta sia per la fata che per il comportamento della madre.

«Naturalmente era più graziosa, ma io avrei potuto portare al vostro regno vantaggi che neanche immagini.»

«Mi spiace» disse Nerina. «Non lo sapevo.» Poi si rese conto che l’altra avrebbe apprezzato la sincerità più di qualunque altra cosa, e disse: «Sapete, non avete perso granché. Il re è un buon regnante, ma come padre e marito lascia a desiderare.»

«Tu dici?»

«Sì. Anzi, siete fortunata. Invidio la vostra vita così libera e indipendente.»

La fata sorrise, addolcita.

Tenne Nerina presso di sé per qualche mese, più perché apprezzava la sua compagnia che per ripicca verso la regina. Mentre le settimane passavano si accorse però che la ragazza era sempre più nervosa e preoccupata.

«Cosa c’è, bambina mia?» le chiese una sera, mentre cenavano.

«Non voglio sembrare ingrata, mia buona fata. Siete stata molto gentile, ma il regno è ancora nella morsa dell’inverno, e non posso fare a meno di pensare a tutti i contadini che moriranno di fame.» Detto ciò, arrossì e tacque.

Tacque anche la fata, ma si decise ad annullare l’incantesimo, e a permettere che le stagioni tornassero a scorrere.

Tempo dopo notò che Nerina era ancora triste, e dovette insistere molto per farle dire: «Lo so che la mia famiglia non è la migliore del mondo, ma ho nostalgia di loro e della mia casa. Non posso farci niente.»

Quando Nerina si svegliò, la mattina seguente, trovò sul tavolo in cucina un cesto di viveri e un biglietto. Uscendo vide il suo cavallo già sellato davanti alla soglia. Comprendendo di essere libera, cercò una penna e scrisse sul retro del biglietto: “Tornerò a trovarvi, se vi fa piacere. Vi considero ormai una seconda madre.”

Mentre cavalcava verso la città, notò che la neve si stava sciogliendo e giunta in pianura trovò un pesco completamente fiorito. Ne colse un piccolo rametto, per portarlo in dono alla sua famiglia.

Laura Baldo

Pubblicato da Piccoli Grandi Sognatori

Progetto creativo e dinamico per grandi e piccini. Immagini e parole a servizio della fantasia.

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