
C’era una volta una principessina bella e gentile che si sentiva molto sola perché non aveva nessun amico della sua età.
Il giorno del suo settimo compleanno, dopo aver scartato tutti e novantanove i regali (il centesimo, un cavallo in carne e ossa, non era stato possibile incartarlo) e aver ringraziato per ognuno (incluso il cavallo), sospirò tristemente.
Il re e la regina, preoccupati, le chiesero cosa avesse. La bambina spiegò che soffriva di solitudine, che sentiva la mancanza di amici della sua età con cui parlare, giocare, divertirsi e, perché no, qualche volta, anche litigare.
I genitori le proposero allora di assumere una famiglia con bambini per tenerle compagnia, ma lei scosse la testa: «non voglio altri servitori, voglio degli amici veri, voglio… frequentare la scuola del villaggio come gli altri bambini!»
Il re e la regina quasi svennero dallo stupore: era impensabile, una principessa andare a scuola con il popolo! Al castello, infatti, i migliori precettori e insegnanti del regno si occupavano della sua istruzione, meglio di quanto nessuna scuola potesse fare.
Era così triste e così decisa, però, che riuscì a ottenere ciò che voleva e il primo giorno d’ottobre ci fu una nuova alunna sui banchi della scuola del villaggio. Seduta composta con la cartella sulle ginocchia, la principessa era raggiante. Ma non tutto filò come aveva sperato.
Nonostante tutti i suoi sforzi, gli altri bambini la lasciavano in disparte. Certo, erano tutti cortesi con lei: ogni mattina l’accoglievano con «buongiorno» e ogni pomeriggio la salutavano con «a domani», ma nulla più. Nessuno veniva a chiederle di giocare in ricreazione; nessuno sedeva nel banco accanto al suo; nessuno mai la sceglieva quando il maestro chiedeva di formare dei gruppi. E tutti si ostinavano a chiamarla “Principessa” o “Altezza”: per quanto ripetesse «mi chiamo Alba», nessuno di loro era disposto a utilizzare quel nome.
Tentò in ogni modo di attirare le loro simpatie: portò tonnellate di dolci squisiti, i giocattoli più incredibili, fece venire l’orchestra di corte per organizzare un concerto nel giardino della scuola e via di questo passo per giorni e giorni. Ma fu tutto inutile, anzi: più ne faceva più gli altri bambini erano in soggezione davanti a lei.
La trovavano troppo diversa da loro: aveva i capelli troppo biondi e profumati, sempre perfettamente acconciati, la pelle troppo chiara e delicata, le mani troppo lisce, non come le loro, piene di schegge, graffi e calli; le ginocchia immacolate, non come le loro sempre sbucciate; aveva vestiti bellissimi e impeccabili, non come i loro spesso macchiati o strappati qui e là. E soprattutto, avevano sentito dire dai loro genitori «la principessa non è come noi, ha il sangue blu!». I bambini non capivano bene come si potesse avere il sangue blu, ma era meglio non dare troppa confidenza.
Alba allora iniziò a spettinarsi prima di entrare in classe la mattina, a rotolarsi per strada per sporcare i vestiti, sul tragitto verso scuola, ma per quanto facesse il fantomatico “sangue blu” continuava a essere una barriera insormontabile.
Fu rimuginando su questa storia di blu e non blu che, durante una lezione di disegno, ebbe un’idea: prese tutti i tubi di tempera che aveva davanti a sé e ne spremette il contenuto sul banco, poi mescolò con le mani e stampò un’impronta multicolore sul muro. Gli altri bambini la guardavano stupiti, il maestro, che s’apprestava a sgridarla, restò a osservare anche lui, incuriosito.
«Forza! – li esortò – fate come me e vedrete che le nostre impronte saranno uguali, sono una bambina come voi.» Nessuno però osava: Alba stava per mettersi a piangere, quando, infine, una bimbetta riccia alle sue spalle si alzò, inzuppò le mani nella tempera e stampò sul muro una manata molto simile a quelle della principessa. Fu una sorta di segnale: uno alla volta gli altri la imitarono. Ben presto il muro fu coperto di mani variopinte, alcune più grandi, altre più piccole, ma tutte molto somiglianti. Anche i bambini, che ridevano e commentavano, con le mani piene di colore, i vestiti schizzati e qualche goccia di tempera in faccia, sembravano tutti fratelli, persino la principessa, con i suoi capelli arruffati, le mani zuppe di vernice e un lungo sbaffo viola che le attraversava la guancia, là dove la mano aveva asciugato una lacrima.
«Sei buffa, Alba, tutta sporca così!» disse Stella, la bambina riccia, e tutti risero perché era buffa davvero: la principessa era diventata una bambina come le altre. E insieme agli altri dovette ripulire il muro e eseguire la punizione imposta dal maestro: scrivere dieci volte sul quaderno “è vietato sporcare i muri”. Ma fu una punizione eseguita col sorriso perché ora aveva degli amici.
E da quel giorno, furono amici per sempre: a volte andava a giocare a casa di un compagno, ma più spesso era lei a invitare i compagni al castello, perché a che serve avere un castello senza amici con cui condividerlo?
Marezia Ori-Elie
Bellissimo!
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