C’era una volta un’isola che nuotava nel mare per soddisfare la propria curiosità di scoperte. I popoli che vivevano sul suo dorso non si accorgevano di nulla poiché questa si muoveva con la lentezza di una tartaruga, solo i bambini si alzavano sempre col sorriso nello scorgere nuove albe ed erano felici di andare a dormire perché sapevano che si sarebbero addormentati avendo negli occhi colori di un tramonto diverso ad ogni crepuscolo.
Un giorno la grande isola dal dorso color smeraldo decise di fermarsi accanto a delle isole più piccole, per avere qualcuno con cui chiacchierare e rimase sorpresa nello scoprire che erano abitate da un popolo di creature barbute di piccola statura che si affaccendavano coltivando fiori, infastidendo animali selvatici per divertirsi e pettinandosi le lunghe barbe rosse con quadrifogli portafortuna.
Il Piccolo Popolo decise di dare una possibilità agli uomini che vivevano sull’isola con la speranza di diventare loro amici e si prepararono all’incontro con quegli strani ed altissimi abitanti dell’isola accanto trascorrendo diverse notti e diversi giorni a fabbricare pentole per poterle riempire di fiori, bottiglie di latte, oro che ricavavano dalla paglia e frutta raccolta nei boschi per dar loro il benvenuto.
Gli anziani del Piccolo Popolo nel giorno concordato per l’incontro al termine di un violento scroscio di pioggia batterono tutti insieme i piccoli bastoni nodosi. Quasi rispondendo a quella loro richiesta, dalla terra si sollevò in cielo un ponte dalla forma ad arco, leggero come una nuvola, colorato del rosso dei papaveri, l’arancione delle ali delle farfalle, il giallo del sole, il verde dell’erba, l’azzurro dell’acqua d’estate, e due ultimi colori scuri che il cielo assumeva quando era geloso delle violette di campo.
Il luminoso ponte si perdeva oltre le nuvole e sembrava terminare nella grande isola. Da entrambe le parti, il piccolo popolo e gli uomini si fermarono a osservare quello spettacolo sorpresi.
I folletti e gli gnomi dalle barbe rosse come bacche, muniti delle loro pentole si lasciarono scivolare verso la terra degli Alti. Notarono senza problemi la tristezza nel cuore degli uomini perché per la prima volta dopo tanti anni erano costretti a osservare sempre lo stesso cielo. Insegnarono quindi loro il nome di quel ponte magico: l’arcobaleno.
Prima di iniziare la festa, che durò tutta la notte, le stelle per prime vollero sbirciare quello che sarebbe apparso ogni volta avesse smesso di piovere concedendo a loro di unirsi per condividere la loro allegria.
Quel giorno folletti, gnomi, uomini e bambini trascorsero ore conoscendosi, ballando e cantando. Il Piccolo Popolo lasciò i propri doni agli uomini proprio un attimo prima che l’arcobaleno tornasse a prenderli la mattina seguente.
I folletti non notarono che il cuore degli uomini si era oscurato, eccessivamente attratto dall’oro sul fondo delle pentole, così intenti ad ascoltare la domanda che il ponte colorato in cielo poneva loro: chi consideravano tra tutti il più degno di portare la corona di rose dorate che avrebbe simboleggiato l’alleanza tra il Piccolo Popolo e gli Alti?
Puck il capo dei folletti se la fece consegnare dall’arcobaleno e la posò sulla testa di un uomo che era stato il più timido e taciturno quella notte.
Onorato l’uomo disse che l’avrebbe portata degnamente, che sarebbe servita non solo come simbolo d’amicizia tra i due popoli ma anche di unità tra gli uomini e avrebbe concesso all’arcobaleno di riportare i folletti lì, l’anno seguente per festeggiare di nuovo insieme.
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La corona, tanto bella e preziosa mise col tempo gli uomini gli uni contro gli altri, ognuno la voleva per sé invidioso dell’uomo semplice che era il loro re. Gli fecero credere che era riuscito a far cessare le guerre e durante i festeggiamenti approfittarono del vino e del suo sonno per rubargliela.
Un piccolo gruppo di uomini che era riuscito a portarla lontano litigò e nella foga il gioiello scivolò in un fossato.
Lontana dall’uomo che era stato il re, la corona, sola e spaventata iniziò a piangere: le lacrime sgorgavano senza sosta e presto il fossato dove era caduta si riempì d’acqua, diventando un lago.
La grande isola smeraldo riprese a viaggiare, intristita nel profondo da ciò che aveva visto e si mosse tanto a lungo che quell’avvenimento divenne una leggenda.
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Erano trascorsi anni e un bambino passava nella radura con il lago dai riflessi dell’arcobaleno. Si riteneva un ragazzino fortunato perché era sempre circondato da amici con cui poteva giocare e a cui poteva raccontare le leggende che suo padre gli narrava per farlo addormentare la sera. Una di quelle riguardava la nascita dell’arcobaleno, e così infilò le mani nel lago, osservato da un gruppo di bambini, per scoprire se questo non nascesse proprio da lì.
La corona percependo il suo tocco smise di piangere ed emerse per il bambino coraggioso.
Alla vista di quel gesto, il Piccolo Popolo chiamò l’arcobaleno per raggiungerlo e nominarlo il nuovo re dal cuore puro. Per lui e per i bambini del luogo, i folletti sarebbero tornati volentieri per ballare e cantare ed essere amici. La corona l’avrebbero portata con sé e restituita al piccolo regnante solo una notte, ogni anno.
Che tutto restasse pure una leggenda per gli uomini, i bambini sapevano quale fosse la verità. Loro la sanno sempre.
Martina Conti