
In un regno lontano, di cui nessuno ha mai sentito parlare, nascosta dalla fitta vegetazione c’è una casa di pietra che cela un grande segreto. Chi vi abita è un uomo solitario e taciturno. Indossa una tunica color giada con il cappuccio, che gli copre la testa, da sotto il quale fuoriescono due ciocche ricce di capelli argentati. Il suo viso è trasparente a volte, altre ne spiccano soltanto due occhi vitrei e un naso appuntito; la bocca, ammesso che ne abbia mai avuta una, rimane un’incognita.
Prima che sul regno si abbattesse la tragedia, in un angolo della sua modesta abitazione l’uomo aveva scavato una grande buca e vi aveva poggiato un antico scrigno di legno. Dopo aver recitato una litania, con altrettanta cura aveva ricoperto la buca di terriccio, nascondendone ogni traccia. Per timore che qualcuno potesse appropriarsi dello scrigno e del suo contenuto misterioso, aveva gettato sulla casa un incantesimo potente con la speranza di tenere lontana la gente che sognava ancora di riportare sulla Terra il chiasso di un tempo.
Da allora n’era passata di acqua sotto i ponti del regno e dei paesi limitrofi, sotterrati nei meandri dell’antica conoscenza accessibile ormai solo ai pochi eletti. Erano, infatti, rari gli individui capaci di ricordare com’era la vita prima di piombare nel silenzio e nel buio mentale. I volti invisibili, come quelli dell’uomo che viveva nella casa di pietra, costituivano la vasta maggioranza e non avevano la minima intenzione di cambiare le regole di cui loro stessi erano artefici.
Miguel è un bambino curioso che passa le giornate nel bosco in cerca del cibo. Sotto i suoi piedini, che calpestano il suolo adagio, la terra scricchiola. La strada è ricoperta di rami spezzati dal vento forte che ha ululato tutta la notte. Li scosta piano con il bastone e alla vista dei primi fiori, che fanno un timido capolino tra l’erba alta, sorride. Nonostante il mutismo generale, la natura pulsa di vita, fregandosene degli incantesimi malvagi che hanno reso l’inverno una vera prigione di ghiaccio.
All’improvviso, il suo sguardo viene catturato da una nuvoletta di fumo nero che cerca di fare breccia tra le chiome spoglie degli alberi. Incuriosito, Miguel segue la scia scura sopra la sua testa. La nuvoletta cambia spesso forma e direzione; all’inizio lenta poi guadagna in velocità, costringendo il bambino ad accelerare il passo fino ad arrivare a un bivio. Osteggiata dal tronco di un albero abbattuto, la strada si biforca in due sentieri: uno va a sinistra, un altro a destra; Miguel sceglie quest’ultimo.
Mentre s’inoltra nelle viscere del bosco, aiutandosi con il bastone che usa come arma contro un eventuale animale selvaggio all’attacco, l’aria diventa più densa e per un po’ gli manca il respiro. Nonostante un brivido lungo la schiena, non accenna a rallentare, anzi prosegue spedito con lo sguardo sempre fisso su quella nuvola nera. Intanto la luce pian piano si affievolisce e quando raggiunge la radura che ospita la casa di pietra è già buio. Le gambe di Miguel sono incollate al suolo e se potesse esprimersi griderebbe aiuto a squarciagola.
La nuvoletta di fumo arriva proprio da quella casa e chi ci vive dev’essere seduto intorno al focolaio a consumare il pasto della sera. A quel pensiero la pancia del bambino brontola. Non mangia da giorni e finora s’era imbattuto soltanto in un paio di sorgenti dissetanti. Se solo potesse muoversi, correrebbe subito a bussare alla porta. Se solo potesse comunicare, pregherebbe umilmente per un pezzo di pane.
Dall’unica finestra in basso a sinistra arriva una luce accecante e per proteggersi la vista Miguel alza le braccia come uno scudo, facendo cadere il bastone. Un leggero formicolio e i piedi si alzano da terra: prima uno poi l’altro. Sospinto da una forza invisibile ma amica, dopo un breve volo Miguel atterra a pochi passi dalla porta che si spalanca davanti a lui come l’abbraccio di una madre. Una voce lo invita a entrare. In vita sua non aveva mai sentito parlare la gente del villaggio. Sorpreso, il bimbo sgrana gli occhi e li stropiccia con forza.
La casa di pietra ha due stanze e sono entrambe vuote. L’anfitrione, forse un cacciatore, non c’è. Sulla parete centrale, appesa a un chiodo, spicca in tutto il suo orrore la testa di un grosso animale. La luce che vedeva prima lampeggia in un angolo ed è così piccola che potrebbe raccoglierla nel palmo della propria mano. S’inginocchia e cerca di afferrarla, ma gli scappa. Allora comincia a scavare, e a scavare, fino a quando non viene fuori uno scrigno di legno. In un soffio spazza via il terriccio in eccesso e lo osserva con interesse perché la luce sembra provenire proprio da lì. Lo colpisce soprattutto l’iscrizione sul coperchio. Vorrebbe aprire lo scrigno, ma c’è un lucchetto e lui non possiede la chiave. Si guarda intorno con aria smarrita. Appena vede un sasso, lo afferra senza pensarci.
È soltanto un attimo. La mano alza il coperchio e nello stesso momento in cui lo fa Miguel viene assalito da una serie di simboli — gli stessi dell’iscrizione — che escono dallo scrigno come uno sciame brulicante. Le lettere A, B, C, D — scoprirà più avanti che si chiamano così — gli volano prima intorno e poi quando spalanca la bocca dallo stupore gli entrano dentro con forza, lasciandolo disorientato e confuso. La testa gli gira e anche le mura della casa di pietra che svanisce lentamente.
Nessuno sa che fine abbia fatto l’uomo con il volto trasparente. Sparita la casa di pietra sono spariti anche lui e i suoi compari. Il silenzio, che aveva dominato la Terra a lungo, è stato sostituito dai rumori di una volta. Lo scrigno di legno ha cambiato la dimora, ora lo custodisce un bambino speciale che da quando ha ritrovato la voce non riesce ancora a soddisfare la sua sete di sapienza.
ma che bella favola. L’innocenza di un bambino riporta la vita che era diventata muta e spettrale. Le lettere sono il pane della nostra voce e della nostra scrittura
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